“Gli ordini a luglio 2015 aumentano del 10,4% in un anno. Quelli interni aumentano del 14% #italiariparte #ciaogufi”. È il tweet del presidente del consiglio, Matteo Renzi, che ha esultato per gli ultimi dati Istat su fatturato e ordinativi dell’industria. Il panorama però non è tutto rose e fiori. Da un lato, per esempio, l’agenzia di rating Moody’s ha rialzato le previsioni sul Pil italiano al +0,7% nel 2015 e al +1,2% nel 2016. Ma ha poi criticato il governo per il taglio di Imu e Tasi, in quanto “in generale le tasse sulla proprietà sono meno distorsive di altre”. La stessa Standard & Poor’s ha parlato di una “ripresina” inferiore alla media europea, e in particolare alla Spagna. Abbiamo chiesto un commento a Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università di Parma.
Lei come giudica i segnali apparentemente contrastanti sull’economia italiana?
I dati pubblicati in questi giorni sono relativi a luglio, e fino al 12 luglio sembrava che l’Europa stesse crollando perché c’era il problema della Grecia. Questo di per sé non è rilevante per i dati italiani, ma in una situazione di incertezza normalmente le famiglie decidono di consumare di meno e le aziende rinviano gli investimenti.
Quindi risolta la crisi greca gli italiani hanno tirato un sospiro di sollievo e ripreso a consumare e investire?
Sì, i dati usciti giovedì su ordinativi e fatturato sembrano andare in questa direzione. Anche se di per sé le rilevazioni mensili sono un po’ “ballerine” e l’esultanza del presidente del Consiglio è eccessiva. Prendendo in considerazione la media dei primi sette mesi del 2015 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, gli ordinativi crescono del 3,4%.
Quindi meno del 10,4% di luglio?
Sì. La crescita degli ordinativi nei sette mesi è inferiore a quella di luglio, e da ciò si comprende che la congiuntura sta migliorando. Migliora in modo particolare quella interna, nel senso che gli ordinativi che si sono ripresi di più rispetto all’anno scorso sono quelli relativi al mercato interno, il cui dato destagionalizzato è infatti del +5,6%. Gli ordinativi esteri crescono meno, dello 0,5%.
Renzi farebbe meglio ad aspettare a esultare?
Capisco la voglia di esultare del presidente del consiglio, anche se naturalmente ci vorrebbe un po’ più di cautela in quanto il dato di luglio è positivo, ma i mesi precedenti erano stati più contraddittori. Sono comunque segno del fatto che la ripresa si sta consolidando e che ciò sta avvenendo anche sul mercato interno, anche se le cifre sono comunque decisamente inferiori rispetto a quello che si osserva in altri Paesi, a partire dalla Spagna.
Ha ragione Standard & Poor’s quando afferma che è una crescita legata a fattori esogeni piuttosto che alle riforme?
È un’affermazione che non condivido in pieno. Nel primo semestre la ripresa del mercato interno, e soprattutto quella di consumi e investimenti, segnala un potenziale effetto positivo degli 80 euro. Assieme a questo c’è anche la componente “ineludibile” legata alle misure della Bce. Ciò che si osserva nei dati è effetto del combinato disposto di questi due fattori.
Moody’s ha sottolineato che anziché la Tasi sarebbe meglio tagliare le tasse sulle imprese. Lei che cosa ne pensa?
Intervenire sulle tasse è utile in quanto tale. Soprattutto se lo si fa con un orizzonte triennale che faccia sentire a famiglie e imprese che di qui al 2018 tutte le imposte scenderanno, per un totale di 35 miliardi, includendo quelle su casa, lavoro e redditi d’impresa. Il problema è che finora si sono attuate politiche che toglievano le tasse da un lato e le riallocavano dall’altro, in quanto la spesa pubblica non scendeva mai.
Che cosa dovrebbe fare il governo?
Il governo deve mostrare anche che al taglio delle tasse corrisponderà una riduzione della spesa pubblica, ben più ampia e decisa di quella che è stata prefigurata fino a questo momento. Ci sono tre anni di tempo per farlo, ma bisogna annunciare già adesso dove e come si intende intervenire per quanto riguarda il piano di riduzione della spesa. In campo sanitario qualcosa indubbiamente si è cominciato a fare, ed è un esempio del fatto che il governo incomincia a mettere il bisturi nella spesa pubblica.
(Pietro Vernizzi)