Per metà ottobre è attesa la ricezione parlamentare in Italia della nuova normativa europea sui salvataggi bancari (bail in). Le regole sulla cosiddetta “risoluzione” delle crisi delle istituzioni creditizie entrerà in vigore l’1 gennaio prossimo e prevede il coinvolgimento di azionisti, obbligazionisti ed eventualmente grandi depositanti (oltre 100mila euro) nella copertura delle perdite derivanti da un dissesto. È prevedibile che il passaggio segnerà un ulteriore incremento d’attenzione – e di accelerazione – per i riassetti bancari in cantiere nel sistema nazionale.



Negli ultimi giorni i riflettori delle cronache si sono accesi sulla Popolare di Vicenza: al centro di un’inchiesta giudiziaria ma anzitutto di un delicato tentativo di stabilizzazione patrimoniale (aumento annunciato da 1,5 miliardi). Sempre nel Nord-est, Veneto Banca si è indirizzata verso un percorso analogo, con una ricapitalizzazione prevista per un miliardo.



Altre grandi Popolari – non caratterizzate da stati di difficoltà – stanno preparando la trasformazione in Spa richiesta dalla recente riforma e studiano possibili aggregazioni, auspicate dalla vigilanza ora condivisa fra Bce e Banca d’Italia. Una situazione paragonabile interessa il Credito cooperativo, che ha chiuso nei tempi previsti il cantiere del progetto di autoriforma e attende ora che Tesoro e Parlamento formalizzino la nuova regulation per la governance delle Bcc: successivamente – a diretto contatto con le autorità di vigilanza – il comparto procederà a riorganizzarsi secondo una struttura a gruppo.



Nel frattempo è in via di approntamento una soluzione di sistema per tre gruppi commissariati: Banca Marche, Banca Etruria CariFerrara. Verrà costituita una holding inizialmente finanziata dal Fondo interbancario di garanzia dei depositi e ad essa sarà conferito il controllo delle tre banche. L’impegno previsto (1,75 miliardi) sarà sostenuto – nei piani – dai sei maggiori gruppi bancari del Paese. Entro un termine orientativo di quattro anni le tre banche dovrebbe essere risanate e ristrutturate, pronte per essere rilevate da altri gruppi.

Le Popolari Spa in evoluzione nelle dimensioni e negli assetti di controllo; la nuova capogruppo del Credito cooperativo; la holding di parcheggio per tre banche regionali in difficoltà: tre situazioni che assai verosimilmente richiameranno in le Fondazioni di origine bancaria. Un caso è già in maturazione: la Fondazione Cariverona è stata apertamente sollecitata da varie parti a intervenire nei riassetti delle Popolari del Nord-est. L’ente scaligero è stato d’altronde uno dei primi a recepire nel proprio statuto le direttrici dell’autoriforma varata dalle Fondazioni dell’Acri e sancita nella scorsa primavera attraverso un “Atto negoziale” presso il ministero dell’Economia.

Le 88 Fondazioni bancarie italiane si sono impegnate a rispettare nella gestione dei propri patrimoni un criterio stretto di diversificazione, in funzione anti-rischio: non più di un terzo degli asset di un ente può essere investito presso un singolo soggetto. Ma – al di là della vigilanza del Tesoro – il regime in via di adozione generalizzata fra gli enti dell’Acri non pone altri vincoli all’investimento se non quello relativo agli strumenti di finanza strutturata. 

Una Fondazione quindi può mantenere quote nelle sue banche storiche (per Cariverona, ad esempio, è UniCredit) entro il tetto quantitativo e investire altre porzioni del suo patrimonio in altre banche o istituzioni finanziarie: ovviamente nel rispetto  generale delle “migliori pratiche” di un investitore istituzionale riguardo la valutazione del rischio e della liquidità di un impiego e le prospettive di un reddito corretto e sostenibile.

È comunque prevedibile che – sotto la supervisione di Tesoro e Bankitalia – alcune Fondazioni saranno autorizzate a entrare in nuovi azionariati di riferimento di poli bancari: con la stessa funzione di presidio e di accompagnamento di medio periodo svolta dopo la riforma bancaria degli anni ’90 nella formazione dei grandi gruppi. Non è inverosimile che contro una ripresa di ruolo delle Fondazioni nel sistema bancario italiano si levino nuove voci critiche, soprattutto in sede internazionale: dove è già citato un piccolo studio di una giovane economista francese pubblicato l’anno scorso in una collana del Fondo monetario internazionale.

Ma il tono della recente lettera del vicedirettore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta, al presidente del nuovo Consiglio di vigilanza della Bce – Danièle Nouy – ha segnato un indubbio cambio di passo nell’atteggiamento delle autorità monetarie nazional: non più disposte – almeno negli intenti – a subire passivamente la pressione di “ri-regolazioni” che – dietro l’obiettivo di riformare il sistema finanziario dopo la grande crisi – celano spesso violente dinamiche competitive fra sistemi-Paese. Anche all’interno dell’Ue.