Ieri A2A – utility leader in Italia – ha chiuso in Piazza Affari pressoché invariata, ancora in progresso del 33% negli ultimi dodici mesi. Anche al netto dell’effetto-Draghi, la performance è di tutto rispetto viste il “newsflow” della mattinata.
Dapprima sono arrivate le indiscrezioni di stampa su una norma che il governo avrebbe messo in cottura nella legge di stabilità. un pacchetto di nuovi limiti di detenibilità di partecipazioni in società da parte degli enti locali (A2A è tuttora co-controllata dai Comuni di Milano e Brescia). Poche ore dopo la Corte di giustizia Ue ha formalizzato l’obbligo per A2A di restituire al Fisco 290 milioni di aiuti di Stato impropri (di cui ben 120 a titolo di interesse). “Già fatto” si è limitato a precisare in serata un comunicato di A2A: le agevolazioni fiscali erano state fra l’altro concesse a Aem e Asm prima della loro fusione ed erano legate all’incentivazione di progetti relativi alla depurazione idrica e alla distribuzione del gas. Comunque non un bello spettacolo, quello inscenato sulla pelle di A2A.
L’Europa continua a “narrare” un’Italia furbastra e allegra scialacquatrice di risorse fiscali. Un’Europa giudiziaria che sembra peraltro avere gli stessi tempi di certe magistrature italiane: un po’ biblici e un po’ a orologeria. Perché è difficile non “percepire” un’ennesima punzecchiatura – almeno casuale – al premier Matteo Renzi che non più tardi di mercoledì ha tuonato: “Sulle tasse in Italia decido io”. Per la verità sulle utilities italiane – stando ai rumor – starebbe preparando una stangata “rottamatoria”: di portata anche superiore al decreto-blitz sulle Popolari, ma di segno potenzialmente contrario in Borsa.
Se a gennaio le indiscrezioni sul diktat che obbligò le maggiori Popolari a trasformarsi in Spa provocò in Borsa rialzi incontrollati (e guadagni altrettanto incontrollati) il preannuncio di un nuovo diktat a Comuni, Province, Regioni può essere altrettanto incontrollabile nel provocare iniziali ribassi a danno degli enti azionisti (pressati a vendere in tutto o in parte le loro quote) non meno che degli investitori di mercato. Simmetricamente, verrebbero create artificialmente occasioni di acquisto a buon mercato per chi – in futuro – potrebbe avvantaggiarsi in operazioni di acquisizione su società rese nel frattempo meno solide nel controllo.
Siamo certi che non aveva in mente questo Carlo Cottarelli, che ha raccomandato la riduzione da 10mila a mille delle società a partecipazione municipale: per tagliare spese e sprechi, non per espropriare gli enti locali di aziende e di valori finanziari creati da loro. Già ci pensa la Ue a mettere i bastoni fra le ruote – a orologeria – alla possibilità di agevolare in maniera attiva la riaggregazione fra le utilities.
Se poi il governo si re-inventa broker dirigista delle partecipazioni locali – dopo aver (s)venduto (quasi) tutte le partecipazioni statali, rischia di non essere creduto nel ruolo di finto tonto: come quel grande quotidiano che, ieri mattina, sul caso Ecclestone-Monza, ha pensosamente suggerito di attirare “capitali esteri” sull’Autodromo, sul Parco, sulla Villa Reale. Un sindaco di Monza spregiudicato come Renzi e/o finto tonto come qualche quotidiano ultracentenario inviterebbe dopodomani al Gran Premio l’emiro del Qatar, contratti pronti per la firma e soldi sul tavolo: ma destinati ai cittadini di Monza, non al fisco statale di Renzi o ai profitti privati di qualche banca d’affari di Londra. Magari con anagrafe italiana.