LONDRA — Un rialzo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve è da mesi oggetto di speculazione tra gli investitori. In attesa di conoscere la decisione della banca centrale americana, che si riunirà a Washington il 16-17 Settembre, abbiamo raccolto per ilsussidiario.net le opinioni di alcuni gestori nella City di Londra. Sono in molti a scommettere ancora su un ritocco entro la fine del 2015, ma — soprattutto dopo l’ultima presa di posizione del presidente della Bce, Mario Draghi, preoccupato che la ripresa in Europa possa contare su corretti stimoli monetari — fra le case finanziarie londinesi prende quota un consenso su dicembre come orizzonte temporale per il primo rialzo.



Per Anna Stupnytska, global economist di Fidelity Worldwide Investment, un rialzo a dicembre resta, per il momento, sul tavolo, “anche se i rischi [globali] fanno propendere verso il 2016”. Se i dati sull’economia statunitense saranno positivi e se i rischi Cina e Grecia restano contenuti, non è escluso un primo rialzo già a settembre, dice. Tuttavia, “dicembre resta un’opzione più realistica per il rialzo [dei tassi]” perché “è improbabile che il dato su inflazione e salari cominci a mostrare un’inversione di tendenza significativa entro la fine dell’anno, complice il calo delle materie prime”. Sulla stessa linea Alan Wilde, head of fixed income di Baring Asset Management, che propende per un rialzo dei tassi entro l’anno, ma non questo mese. Il rinvio della decisione è giustificato dopo il caos sui mercati finanziari, dice. “Le aziende statunitensi che si lamentano per il dollaro forte, che indebolisce i loro ricavi sui mercati esteri, sono sempre più numerose e l’inflazione rimane bassa. In questo quadro, un lungo periodo di forward guidance e rialzi modesti dei tassi non dovrebbe avere un impatto economico significativo,” spiega Wilde.



Anche Investec punta su un rialzo dei tassi a dicembre. John Stopford, co-head of multi-asset, dice che anche dopo il recente crollo del mercato, le attese sono ancora per un rialzo a fine anno. Qualche mese fa tra gli economisti ed esperti di mercato prevaleva l’opinione che la Fed avrebbe ritoccato al rialzo i tassi d’interesse già a settembre. Ma ora sembra prevalere la preoccupazione che aumenti il rischio di una frenata dell’economia statunitense. Tra i fattori di rischio, le prove sempre più evidenti di un rallentamento economico della Cina, i prezzi delle materie prime in caduta libera, le tensioni sui mercati emergenti e la conseguente volatilità dei mercati finanziari. “I rischi allo scenario globale posti da una Cina in rallentamento più marcato delle attese e la spinta deflazionistica generata dalla svalutazione dello yuan e dal forte calo delle materie prime rappresentano fattori che potrebbero spingere la banca centrale americana a rinviare al quarto trimestre dell’anno il primo rialzo dei tassi dal 2006,” dice Monica Defend, global strategist di Pioneer Investments. Simile presa di posizione anche per NN Investment Partners (già ING Investment Management), che ammette di non aspettarsi più un rialzo dei tassi a settembre.



Nella nota MarketExpress, i gestori olandesi scrivono che la caduta dei mercati finanziari in seguito alla svalutazione della moneta cinese, operata dalle autorità di Pechino, tratterrà la Fed da un rialzo a settembre. Tuttavia, un intervento nei prossimi mesi, “probabilmente a dicembre”, è ancora tra le carte da giocare, concludono. Ma di quanto potrebbe ritoccare i tassi la Fed nel momento in cui lo farà? Se ci saranno già dei rialzi quest’anno, secondo Stupnytska “con tutta probabilità saranno minimi”. Tuttavia, il ritmo dei rialzi dipenderà dai dati macro e anche se l’economia statunitense resta forte, il 2016 rischia di rivelarsi “un contesto pieno di sfide per la crescita,” dice l’economista di Fidelity Worldwide Investment.

Per Paul Jackson, head of research di Source ETF, il tasso di aumento sarà di 25 punti base per volta. “Sarà una stretta sulla politica monetaria più gentile e più lunga rispetto a episodi precedenti”, dice, aggiungendo di aspettarsi che i tassi si normalizzino “intorno al 3 per cento”. Anche Jackson si aspetta un cambio di politica a dicembre e non prima. Eppure fino a qualche settimana fa sembrava molto probabile un rialzo dei tassi statunitensi questo mese. Attese poi ridimensionate dalle dichiarazioni di due policymaker, William Dudley, presidente della Fed di New York, e Stanley Fischer, vice presidente della Fed. Dudley ha detto che un rialzo dei tassi sembra ora “meno convincente rispetto a qualche settimana fa” alla luce del recente sell-off sui mercati azionari globali. Fischer, invece, in occasione dell’annuale ritiro a Jackson Hole, Wyoming, si è espresso positivamente circa le previsioni di recuperi dell’inflazione verso il target ideale del 2 per cento perché “si stanno ulteriormente dissipando le forze che la spingono al ribasso”. Le sue parole sono state subito interpretate da molti come un accenno a un rialzo dei tassi, ma l’ex governatore della Banca d’Israele non ha voluto dare nessuna indicazione sui tempi.

“Entrambi, insieme ad altri membri del FOMC terranno un occhio sui mercati e un altro sui numeri dell’economia”, commenta David Kelly, chief global strategist di J.P. Morgan Asset Management. David Absolon, direttore investimenti di Heartwood Investment Management, sottolinea come i dati macro di Stati Uniti, Europa e Regno Unito restino incoraggianti nonostante il rumore dei mercati. I fondamentali delle economie sviluppate — spiega — parlano di “capacità di recupero anche di fronte ai venti di debolezza che soffiano sulle economie emergenti”. “In periodi di estrema volatilità dei mercati è estremamente importante fare un passo indietro, allontanarsi dai rumori e tornare ai fondamentali”, dice Absolon. In particolare, i dati statunitensi mostrano un’economia in espansione e che non ha più bisogno di interventi d’emergenza. Il Pil del secondo trimestre è stato rivisto al rialzo, i consumi restano in buona salute, e poi ci sono le implicazioni del dividendo sul petrolio. 

Quindi la Fed, secondo Absolon “dovrebbe cominciare ad alzare i tassi gradualmente”. Anche se i dati sul mercato del lavoro mostrano un miglioramento, restano le preoccupazioni sull’inflazione, che resta bassa, ben al di sotto della soglia del 2 per cento che si prefigge la banca centrale.

Henk Potts, global investment strategist di Barclays, spiega che per mettere mano alla politica monetaria con una certa serenità i policymaker devono aspettare una ripresa significativa dell’inflazione. La Fed vuole “prove evidenti sullo stato di buona salute dell’economia [statunitense] prima di cominciare ad aumentare i tassi d’interesse”, scrive in una nota. Luke Bartholomew, fixed income investment manager di Aberdeen Asset Management, ritiene che non ci sia consenso, tra i policymaker, sullo stesso target del tasso d’inflazione al 2 per cento.