“Serve una crescita più sostenuta, migliore nella sua composizione, capace di creare nuova occupazione”: così parlò Pier Carlo Padoan ad Ankara, venerdì 4 settembre, introducendo il seminario del G20 su tecnologia e lavoro. Come non sottoscrivere le sue affermazioni, parola per parola? Il ministro dell’Economia si riferiva in generale all’economia mondiale, il ragionamento vale ancora di più se letto con le lenti italiane. Perché la ripresina in corso secondo gli ultimi dati Istat non è sostenuta né buona nella sua composizione e tanto meno capace di creare posti di lavoro a sufficienza. E’ vero che il tasso di disoccupazione è sceso al 12%, ma siccome cala anche il tasso di occupazione (già troppo basso) vuol dire che il fenomeno positivo (cioè la trasformazione in stabili di impieghi finora precari, grazie agli incentivi del governo) è spiazzata dal fenomeno negativo (gli scoraggiati, chi lascia del tutto il mercato del lavoro non per vivere di rendita, ma di sotterfugi).
Non solo. Quel che ha detto giovedì scorso Mario Draghi ha aggiunto nuove ombre perché la Bce ha abbassato le proprie stime sulla crescita nella zona euro, sia sul prodotto lordo in termini reali sia sui prezzi, paventando un’inflazione sotto zero nei prossimi mesi. La macchina europea non parte, quella cinese rallenta, quella americana non è in grado di trascinare l’intera economia mondiale. E l’Italia che finora si è rimessa in moto, sia pur lentamente, grazie alle esportazioni, a questo punto deve aumentare la domanda interna per investimenti e per consumi.
Nei primi sei mesi di quest’anno, la crescita dei consumi è stata modesta, peggio ancora quella degli investimenti, il contributo della domanda pubblica è rimasto attorno allo zero, sono aumentate soprattutto le esportazioni. Rispetto ad altre recenti riprese, come quella del 2006 (in piena moneta unica, ma prima della grande recessione) e a quella del 2000 (quindi in era pre-euro) salta agli occhi la differenza con la dinamica degli investimenti, in entrambi i casi superiore all’1%. Questa volta c’è stato un rimbalzo per ricostituire le scorte, seguito poi da un rallentamento nel secondo trimestre. Anche i consumi privati crescono meno rispetto ai due cicli precedenti, seppur sostanzialmente in linea con il Pil. I sostegni del governo, soprattutto gli 80 euro, sono serviti a pagare le rate dei mutui e i consumi alimentari. Su questo coincidono nella sostanza sia l’indagine della Banca d’Italia sia quella condotta per la lavoce.info da Stefano Gagliarducci e Luigi Guiso. Sono effetti positivi, senza dubbio, anche se di breve periodo. Infatti non ci sono state ricadute consistenti sull’acquisto di beni durevoli o sul risparmio.
Ciò dimostra che la riduzione delle imposte, anche in presenza di un contenimento della spesa pubblica, ha un effetto positivo sulla congiuntura. Ma dice anche che l’entità della riduzione è ancora insufficiente a dare un impulso forte alla crescita.
Matteo Renzi ha detto che andrà avanti con i tagli fiscali: quest’anno toccherà agli immobili abolendo l’imposta sulla prima casa, l’anno prossimo alle imprese e nel 2017 alle persone fisiche. Se l’obiettivo principale è spingere la congiuntura per linee interne, le debolezze mostrate dalla dinamica della domanda avrebbero dovuto far invertire le priorità: prima le imprese, dando una spinta agli investimenti, poi le persone fisiche, infine la casa. Con tutta probabilità l’efficacia economica sarebbe stata maggiore, forse sarebbe stata inferiore la ricaduta politica, ma alla fine, anche agli effetti del consenso politico, è sempre meglio creare più posti di lavoro che raggranellare qualche voto sulla base di reazioni emotive.
In ogni caso, politiche di sostegno fiscale sono cruciali, il problema è come finanziarle. Tagliare troppo la spesa crea effetti recessivi che nessuno vuole, farlo in deficit fa esplodere un debito che continua a salire. Padoan si rende conto che occorre un cambio di passo, ancor più se sono vere le previsioni della Bce e se la Federal Reserve aumenta i tassi di interesse nella riunione del 16-17 settembre. Può darsi che rinvii la scelta a fine anno, come molti dicono, comunque anche gli ultimi dati sull’occupazione americana lasciando aperte tutte le possibilità.
Una cosa sembra certa: gli Stati Uniti, anche grazie a una ripresa che continua ormai da oltre cinque anni, stanno imboccando il ritorno a una politica monetaria ordinaria, cioè tassi positivi e rientro dal quantitative easing. La Bce ancora non può farlo, anzi aumenterà l’acquisto di titoli per puntellare una crescita asfittica della zona euro. Ma il segnale che verrà dalla Fed, insieme al rallentamento dei mercati emergenti, pone all’Europa l’esigenza di camminare sulle proprie gambe. Padoan conta su questo non solo per convincere la Germania a scegliere una politica espansiva, ma anche per ottenere flessibilità dall’Unione europea. Può darsi che ci riesca; sarebbe azzardato, però, basare i parametri della prossima finanziaria solo su questa speranza che potrebbe trasformarsi presto in una beata illusione.