Su questa testata, Mario Deaglio, con la franchezza e la chiarezza che gli sono note, ha dato una scossa a tutti coloro (e nelle redazioni di giornali non sono pochi che discettano di economia senza conoscerne gli elementi di base) che hanno applaudito le indicazioni di Mario Draghi secondo cui intende utilizzare dosi maggiori ed una terapia più lunga di Quantitative easing (Qe per gli addetti ai lavori e gli amici).



Sino a ora la cura non ha avuto grandi risultati. In effetti, a sei mesi dall’avvio del Qe, il suo impatto quasi non si avverte: i segnali di crescita sono tremuli, l’inflazione è solo leggermente al di sopra dello zero, il tasso di disoccupazione è diminuito solo marginalmente, ci sono ancora segni di deflazione. Secondo Zsol Darvas, un economista del centro di ricerche Bruegel, questi dati rafforzano la tesi di quei Governatori che si sono opposti per mesi al Qe e hanno dovuto accettare di “ingoiarlo” per non essere accusati di non avere permesso alle autorità monetarie di utilizzare tutti gli strumenti a loro disposizione. Inoltre, proprio all’ultimo Consiglio della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi ha presentato stime macro-economiche dell’eurozona non proprio esaltanti. E’ vero che – ci ricorda in un saggio recente Jacek Kotlowski dell’Istituto di Econometria della Università di Varsavia – non sono necessariamente più bravi a formulate previsioni dei professional forecasters, coloro che vivono producendo e vendendo previsioni. Tuttavia, la Bce raffronta le previsioni del proprio servizio studi con quelle di una ventina di professional forecasters. Tuttavia, si può dire che nonostante il Qe l’Europa non cresce: il bazooka, nell’ipotesi più benevola, non ha un buon tiro.



In effetti, due saggi di Cullen O. Roche del Orcan Financial Group avevano sottolineato i limiti del Qe. Nel primo il Qe veniva chiamato The Greatest Monetary Non-Event e si sottolineavano le ragioni per cui ha effetti molto limitati in tempi di balance sheets recession, di recessione causata da bilanci pubblici e privati in rosso. Nel secondo, più recente ed intitolato Understanding Quantative Easing (Comprendere il Qe), si fornisce una guida al Qe ed al suo predecessore (le Operazione sul Mercato Aperto) ed ai loro limiti. Si potrebbe andare oltre e citare, ad esempio, l’ancora inedito (ma in via di pubblicazione), divertente saggio di Hak Choi, astro nascente del pensione economico coreano, il cui titolo dice tutto: Krugman’s Medieval Theory of Currency Crisis; Paul Krugman è uno dei maggiori difensori del Qe.



Quindi, non mancano critiche al Qe. Occorre, però, vedere lo strumento in prospettiva. In primo luogo, la Bce ha poche frecce al suo arco. Vale la pena dare atto che non ha mai fatto mancare liquidità al sistema; il nodo è piuttosto come e perché la liquidità fornita dalla Bce (inclusa quella derivante dal Qe) si ferma nei meandri, ove non labirinti, del sistema bancario e non arriva ad imprese e consumatori. Questo dovrebbe preoccupare l’esecutivo Bce perché è la critica maggiore e più tagliente degli oppositori del Qe in seno allo stesso Consiglio dell’istituto. Il Qe dovrebbe essere il lubrificante dell’economia reale, ma come ha correttamente detto Deaglio serve al più ad operazioni finanziarie, a “legittime speculazioni” che non incidono, però, sulla crescita dell’eurozona.

In effetti, per mordere dovrebbe essere affiancato da due altri strumenti. Da un lato, una maggiore flessibilità nell’interpretazione dei vincoli del Trattato di Maastricht e del Fiscal Compact: concepiti, soprattutto il primo, in tempi ben diversi ed allestito il secondo per rafforzare il primo senza chiedersene le ragioni più profonde. Da un altro, quelle liberalizzazioni (soprattutto di mercati chiusi come quelli delle professioni o dell’agricoltura) e privatizzazioni che incidono sulla produttività. Altrimenti, il Qe non è un bazooka ma una freccia spuntata lanciata da tiratori dubbiosi.