Gli ultimi dati sull’occupazione Usa erano molto attesi nel conto alla rovescia verso il 16-17 settembre, quando il Fomc stringerà sulla politica monetaria del dollaro. Le cifre sono risultate inferiori alle attese (173 nuovi posti di lavoro contro una stima di 213mila) anche se le statistiche relative al mese di agosto hanno tradizionalmente un’elevata probabilità di essere riviste. Sui mercati ne è derivato in ogni caso un immediato contraccolpo ribassista e qualche impatto addizionale rispetto al post-Bce si è visto venerdì su quotazioni del dollaro e tassi. Comunque: una reazione a caldo, tutta da verificare a partire da oggi fino allo showdown del governatori della Fed e poi oltre metà mese.



Minute del Fomc e dichiarazioni pubbliche a Federal Riserve – e altre ne seguiranno prevedibilmente nei prossimi giorni – ci dicono che le opinioni sul ciclo economico Usa sono diversificate, ma generalmente non negative. Dalla raffica di statement è lecito attendersi un supplemento di volatilità erratica. Le attuali proiezioni relative allo sviluppo dell’ economia nordamericana la vedono quasi univocamente ancora in crescita (spesso definita moderata, modesta, comunque invidiabile per chi la vede dall’ Europa), il tasso di inflazione locale oggi è chiaramente in terreno più rassicurante che in Europa (le sue proiezioni per il prossimo anno viaggiano attorno al 1,5%). In base ai “fondamentali interni” le condizioni per un primo rialzo dei tassi in settembre sembrano dunque rimanere.



La volatilità estiva dei mercati, legata essenzialmente al rallentamento dell’ economia cinese e ai bruschi assestamenti di borse e valuta, richiede di contestualizzare il significato dei segni di rallentamento per l’economia statunitense. Il peso delle esportazioni americane nella Repubblica Popolare si aggira attorno all’1% del Pil: gli effetti del rallentamento cinese possono essere più sensibili per l’economia europea, notoriamente più aperta di quella Usa e quindi più esposta alla domanda cinese. Sappiamo nel contempo che il contributo immediato dell’ economia giapponese potrà essere limitato ma sappiamo anche che la dimensione dell’economia Ue supera nettamente quella giapponese, ma anche quella cinese: gli eventuali problemi importabili dall’ economia Usa vedono soprattutto l’ Europa come loro origine. Il Vecchio Continente appare comunque indirizzato su un pattern di crescita graduale ma non incerta: al di là delle dichiarazioni del presidente della Bce, Mario Draghi, doverosamente prudenti.



Lo stesso tasso di disoccupazione Usa – così dibattuto – è pur sempre prossimo alla definizione di pieno impiego usata dalla Federal Riserve: anche le nozioni più allargate mostrano miglioramenti (la disoccupazione di lungo termine appare anche essa in calo) e l’inflazione salariale mostra una leggera crescita. I puri dati quindi possono aiutare a credere che almeno la componente consumi interni possa continuare a sostenere l’economia (non dimentichiamo che la voce consumi pesa per quasi il 70% del Pil Usa).

Guardando oltre questi “meri dati”, può quindi suscitare interrogativi che la Fed non si renda conto che economia e mercati hanno mostrato di seguire con abbastanza convinzione la banca centrale i ben due anni di preparazione degli indirizzi di politica monetaria. Perché ora tanti timori a muoversi? Negli ultimi giorni (fra il summit di Jackson Hole e il G20 di Ankara), il vicepresidente della Fed, Stanley Fischer, ha espresso la sua preferenza per una “minima aggiustatina” agli ingranaggi, facendola seguire da una fase di attenta osservazione utile allo studio delle mosse successive.

Dei due obiettivi statutari assegnati alla Federal Riserve, quello della piena occupazione appare chiaramente raggiunto, manca il raggiungimento di un tasso di inflazione che consenta di ritenere raggiunta la stabilità del valore della moneta (un tasso di inflazione troppo basso evidentemente avvicina possibili instabilità). Una parte importante del basso tasso di inflazione che stiamo osservando deriva anche dall’ effetto indotto dal movimento di prezzo delle commodities non solo energetiche. Nel passato l’ economia mondiale ha affrontato altri periodi in cui i prezzi depressi delle materie prime hanno mitigato il tasso di inflazione dei prezzi al consumo, quei periodi sono stati logicamente legati a condizioni macro economiche complessive chiaramente favorevoli a buoni tassi di sviluppo delle economie.

Osservando la velocità americana nella creazione di nuovi posti di lavoro e le pur parziali ma comunque importanti origini della moderazione inflattiva, è ragionevole concludere che, se non ci fosse anche un minimo segnale di inversione nella politica monetaria, dovremmo accettare di proiettare una crescita economica nel 2016 anche oltre il tasso di sviluppo naturale dell’economia, fatto che renderebbe ormai datata la definizione di sviluppo moderato, modesto. Potremmo assistere ad un assorbimento occupazionale il Usa che ecceda la definizione di massima occupazione della Fed, erodendo quella parte di disoccupazione frazionale normalmente presente in ogni sistema (con effetti sul lato inflazione).

Tirate le somme e considerato che la definizione degli obiettivi dati alla Fed nel suo mandato ha caratteristiche di vincolo legale, la domanda – anzitutto di cultura istituzionale – è per quale motivo la Fed non alzerà i tassi a settembre? Gli inviti del Fondo Monetario, alle orecchie dei governatori della Fed, dovrebbero assumere la stessa importanza di qualunque altro invito proveniente dalle fonti più disparate. La domanda finanziaria profonda è invece: cosa faranno i mercati dopo che la Fed qualcosa avrà fatto (anche non facendo nulla)? E’ probabile che per trovare la risposta – probabilmente non subito – bisognerà cercare in quella parte di obiettivo ancora non raggiunta dalla Fed: un tasso di inflazione “corretto”, “sostenibile”, finalmente “sano”. Saranno le proiezioni di quell’indice la bussola previsiva e la successiva chiave di lettura delle mosse successive della Fed. E quindi di molte su un’evoluzione non più “incerta/volatile” di tassi e cambi: negli Usa e in Europa.