Claudio De Vincenti – sottosegretario alla presidenza del Consiglio – si fa chiedere dal Corriere della Sera: “La prossima settimana approverete la riforma delle Banche di credito cooperativo. Recepirete le proposte delle stesse Bcc oppure no?”. Risposta: “Terremo conto della loro autoriforma. In ogni caso puntiamo a un sistema basato su uno o più gruppi aggreganti che aiutino il rafforzamento delle banche, L’obiettivo è sbloccare il credito all’economia. Vedremo entro gennaio”.



È da settembre che “prossima settimana” il ministero dell’Economia deve trasmettere il decreto di riforma del Credito cooperativo. Ed è da allora che la “settimana” si trasforma puntualmente in “mese”, nel “prossimo mese”, “appena possibile”. Cambia il sottosegretario – da quello al Tesoro Pierpaolo Baretta a De Vincenti -, interviene il governatore della Banca d’Italia, chiosa più di una volta il ministro dell’Economia, s’intromette il responsabile all’Economia del Pd, Filippo Taddei. Infine, alla sua maniera, il premier Matteo Renzi si appropria del pallone e ci gioca da solo: quasi ogni giorno da quando la risoluzione di Banca Etruria (pagata anche dalle Bcc) gli ha imposto il mantra di una “riforma bancaria” purchessia. E gli ha imposto fors’anche la ricerca affannosa di un alleggerimento verso un credito cooperativo diverso da quello delle Popolari; verso banche italiane supposte “in crisi”, ma differenti da un Montepaschi o da altre forse più in crisi. Lo stesso vertice di Federcasse, dopo ripetute prese di posizione, più sorprese che irritate, ha cessato di commentare un pressione che – alla fine – Palazzo Chigi esercita verso lo stesso esecutivo: non senza rischi collaterali di indebolimento della fiducia verso un decimo del sistema bancario nazionale.



Resta il fatto che tra poco sarà un anno da quando Renzi, una sera, voleva riformare le Bcc per decreto assieme alle Popolari. Al 20 gennaio 2016 soltanto una grande Popolare si è trasformata in Spa, come il governo aveva imposto a tutte le maggiori d’urgenza, per consolidarsi. Dopo un ultimatum perentorio le Bcc hanno invece fatto i compiti a casa entro l’estate: hanno presentato un pacchetto completo e condiviso di proposte di autoriforma. A fine novembre il presidente di Federcasse, Alessandro Azzi, è stato riconfermato all’unanimità con mandato pieno per rimanere seduto al tavolo della riforma e seguine la realizzazione. Prima del 31 dicembre, il sistema-Bcc ha provveduto da sé alla sistemazione di una situazione difficile: la Roma ha soccorso la Padovana, secondo la tradizione del mutualismo integrale che contraddistingue il Credito cooperativo italiano da quasi un secolo e mezzo.



Perché il governo gioca ancora al rinvio, a carte coperte? Nel farlo sembra contraddire anzitutto gli annunci del premier: “far presto”, riordinare un comparto fatto di “piccole banche”. Il progetto Federcasse propone da cinque mesi di creare una banca: un Gruppo nazionale del Credito cooperativo, riorganizzato attorno a una holding operativa e legato da nuovi vincoli di corresponsabilità. Una capogruppo controllata dalle 370 Bcc (come del resto avviene in Francia, in Germania, in Olanda), ma da quotare in Borsa con il capitale aperto a investitori istituzionali. Come mai De Vincenti continua a parlare di “più gruppi”?

Sul sussidiario abbiamo segnalato più volte iniziative d’interferenza provenienti soprattutto dalla Toscana. La regione del premier, quella dello scalpitante ex membro dell’esecutivo Bce Lorenzo Bini Smaghi (oggi al vertice della Bcc del Chianti), è una regione da sempre un po’ anomala nel panorama del credito cooperativo nazionale: alcune Bcc non aderiscono alla Federcasse, o non ne adottano interamente lo statuto-tipo. E fra il caso del Credito cooperativo fiorentino e quello della Bcc di Cascina, la Toscana – quella di Mps e dell’Etruria – si conferma un’area in cui una grande tradizione bancaria sembra parecchio sbiadita. Sarebbe grave se – al di là o al di sotto degli effetti-annuncio – il governo Renzi infilasse anche la riforma del Credito cooperativo nel ginepraio opaco del “caso per caso”. La palude, per intenderci, dei rimborsi statali agli obbligazionisti subordinati della Popolare Etruria: rimborsi non valutati e decisi attraverso razionalità legale e istituzionale, ma attraverso l’arbitrato di una para-magistratura scelta ad hoc.