“Quando parla del rischio di una nuova crisi come nel 2008, Georges Soros vuole solo creare il panico per specularci sopra. Nella realtà oggi ci troviamo di fronte a una difficoltà a crescere, e non al pericoloso sgonfiarsi di una bolla edilizia come otto anni fa”. Lo evidenzia il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie. Nei giorni scorsi si è registrata una nuova caduta del greggio, con il Wti (l’indice benchmark del prezzo del petrolio) che è sceso al minimo dal 2003. Mentre McKinsey ha stimato che nel 2014 i debiti mondiali siano stati di 57mila miliardi di dollari in più rispetto alla fine del 2007.



Professore, perché le quotazioni del greggio continuano a scendere?

Il prezzo del petrolio è sceso perché si è rialzato il dollaro. Quella cui stiamo assistendo è un’operazione in parte speculativa e in parte connessa al rialzo del dollaro. Il livello del petrolio è strutturalmente sui 35-40 dollari. Quota 32 rappresenta un’oscillazione impropria. E’ cioè una reazione del mercato al fatto che la Cina ha una crescita stimata del 4,5% anziché del 7%.



Quali ripercussioni può avere il prezzo del petrolio ai minimi dal 2003?

Bce e Fed dispongono della liquidità per evitare la crisi. Ci sono imprese che avendo obbligazioni sul mercato contratte a livello di tassi elevati, e avendo difficoltà di vendita, potrebbero andare incontro a un crac. Le banche centrali però comprano le stesse obbligazioni delle banche, riducendone il peso sul mercato.

Siamo all’alba di una nuova crisi sistemica internazionale come nel 2008?

Gli operatori come Georges Soros fanno queste dichiarazioni allo scopo di creare panico perché stanno compiendo delle operazioni ribassiste. Le previsioni di Soros sono comunque sbagliate.



Perché?

Oggi non stiamo uscendo da un’espansione artificiosa, da cui può conseguire il rischio di una crisi, come prima del 2008. Ci troviamo invece di fronte a una ripresa difficile che casomai coincide con una difficoltà a crescere. Ma non abbiamo una bolla dell’edilizia e delle carte di credito, come quella che provocò il crollo nel 2008. Ci possono essere singole imprese di materie prime che non hanno abbastanza credito, ma queste ultime possiedono comunque dei valori patrimoniali che nel lungo termine sono validi.

Che cosa si può fare per disinnescare i rischi legati all’attuale fase?

Siccome la garanzia non può essere fornita dalla banca centrale è bene che la dia lo Stato. Bisogna rompere il tabu dell’autonomia tra banca centrale e Stato nella politica monetaria, e quindi per evitare il pericolo di deflazione bisogna creare una bad bank. La banca centrale garantisce a sua volta la solvibilità del debito pubblico attraverso l’acquisto dei titoli di Stato. In questo modo la Bce fa il prestatore di ultima istanza per salvare il valore della moneta. Lo Stato invece garantisce l’ordine contro il rischio deflazione.

Che cosa accadrà se non si dovesse creare la bad bank?

Senza la creazione di una bad bank ci troveremo con dei dissesti in tutta Europa. Al contrario negli Stati Uniti questo tabu è già stato infranto. Abbiamo a disposizione tutti gli estintori possibili, ma bisogna superare alcuni dei dogmi dei macroeconomisti. Il rischio deflazione si garantisce con la stabilità monetaria, che a sua volta si garantisce mediante il potere dello Stato. La deflazione oggi non è conseguenza di una fase successiva a un boom, bensì di una tendenza mondiale a una riduzione strutturale dei prezzi.

 

Quali conseguenze può avere la deflazione?

Chi si è indebitato a tassi diversi da quelli attuali non deve però essere costretto a pagare di più del giusto. L’acquisto di debito pubblico da parte della Bce è già in corso. Occorre quindi anche un intervento correttivo sui debiti deteriorati. C’è però l’opposizione di Merkel e Schauble, che hanno il chiodo fisso degli aiuti di Stato. I veri aiuti di Stato non sono quelli che correggono le ingiustizie determinate dalla deflazione, ma quelli che favoriscono la speculazione.

 

(Pietro Vernizzi)