Chi ha dichiarato guerra alla Germania? E perché? Già, perché nonostante io non sia mai stato tenero con i tedeschi, anche un bambino vedrebbe che da qualche settimana la Germania è sotto attacco di poteri forti internazionali, la cui finalità appare ovvia: colpire al cuore l’Ue per indirizzarla su binari più favorevoli ai propri interessi e, soprattutto, allontanarla dall’abbraccio sempre più probabile con la Russia di Vladimir Putin. Il problema è che ormai non si finge più nemmeno di coprire la strategia della tensione, la si applica en plein air, anestetizzati come siamo da qualsiasi idiozia televisione e Internet ci propinino.



Partiamo dall’ultimo evento, quello di ieri. Stando alle ultime indicazioni fornite e in mio possesso, sarebbero almeno 10 i morti e 15 i feriti in seguito a un’esplosione avvenuta poco le 9 del mattino nel cuore turistico di Istanbul, vicino alla moschea Blu e a quella di Santa Sofia. Fra i feriti ci sarebbero 6 tedeschi, un norvegese e un peruviano, mentre stando al quotidiano tedesco Bild fra le persone decedute ci sarebbero addirittura 9 tedeschi. Anche la stessa cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha detto che potrebbero esserci connazionali tra le vittime, essendo stato colpito «un gruppo di turisti della Germania. Non abbiamo ancora tutte le informazioni su artefici e vittime, ma siamo in grande ansia che ci possano essere e che ci saranno vittime e feriti tedeschi», ha sostenuto la cancelliera. La quale ha poi immediatamente dichiarato che «è necessario intervenire al più presto contro il terrorismo internazionale che ha mostrato il suo brutto volto a Istanbul, Parigi, Ankara, in Tunisia e dobbiamo agire in modo deciso contro questo».



Guarda caso, quando ancora non si sapeva nemmeno il numero preciso delle vittime, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, dichiarava senza ombra di dubbio che «è stato un kamikaze di origine siriana a compiere l’attacco». Di più, «l’attentatore avrebbe 28 anni e stando a fonti della sicurezza turca, è probabile che appartenga allo Stato islamico». Mancava che ci dicesse cosa aveva mangiato a colazione e quale squadra di calcio tifasse e il quadro era completo. Un po’ strano, non vi pare? Strano, ma estremamente comodo, visto che in questo modo Erdogan avrà un argomento vincente da contrapporre a chi gli rinfaccia la sua ambiguità nei confronti dell’Isis. Di più, nel giro di poche ore il governo turco cambia versione: il kamikaze è un saudita legato all’Isis. Meglio ancora, Ankara prende due piccioni con una fava: da un lato si atteggia a vittima e bersaglio di Daesh, quando ha ospitato campi di addestramento e permesso il passaggio di militanti dalla frontiera con la Siria, e dall’altro prende le distanze dall’alleato sempre più scomodo, quella Ryad che con i suoi massacri in Yemen e con la contrapposizione con l’Iran sta creando sempre più imbarazzi, anche tra i sunniti. E, contemporaneamente, la Germania è avvertita. Per l’ennesima volta.



Pochi giorni fa, infatti, era stato il New York Times ad attaccare duramente la cancelliera tedesca, soprattutto riguardo la sua politica di accoglienza dei rifugiati. Ecco cosa si leggeva al riguardo nel titolo dell’editoriale: «La Germania sull’orlo del baratro, se ne deve andare così che il suo Paese e l’intero continente da lei guidato possano evitare di pagare un prezzo troppo alto per la sua follia di nobili principi e ideali». L’editoriale, firmato da Ross Douthat, partendo da quanto accaduto a Colonia la notte di Capodanno, giudicava «folle» la scelta della cancelliera di accogliere, senza porre limiti, l’afflusso di centinaia di migliaia di migranti. Il New York Times faceva quindi riferimento al romanzo di Michel Houellebecq, Sottomissione, in cui si immagina appunto la sottomissione all’Islam della popolazione e sosteneva che questo scenario «ha buone probabilità di realizzarsi nel futuro della Germania».

Le solite idiozie neocon che piacciono tanto al Foglio, ma resta un fatto: non si tratta dello stesso New York Times che incensò la Merkel quando decise di aprire le frontiere ai siriani, dipingendola come una statista e un’illuminata? Non è lo stesso New York Times che piangeva lacrime di coccodrillo sulla foto di Ayalan, la stessa che di fatto ha spinto la Merkel ad agire, aprendo le frontiere? Mi pare di sì, ma forse mi sbaglio.

E veniamo proprio a Colonia. Ormai si sa che i gruppi di immigrati che hanno molestato decine e decine di donne hanno agito in modo organizzato e coordinato, tramite smartphone e social network, quello che si conosce meno, invece, è che ad avere legami con qualcuno forse implicato nei fatti di Capodanno era Tarek Belgacem, ovvero l’uomo che pochi giorni fa è stato freddato davanti a un commissariato di polizia a Parigi, mentre brandiva un coltello e gridava Allah u Akbar. Almeno, questo è il nome reso noto dalle autorità francesi, visto che negli anni – almeno dal 2011 – questo signore ha fatto il giro d’Europa usando almeno sette identità diverse. Su imbeccata dei servizi francesi, quelli che si sono fatti fare fessi dai terroristi sempre e comunque, l’altro giorno la polizia tedesca ha fatto irruzione in un centro di accoglienza per profughi in Germania (non è stata resa nota la città) e avrebbe trovato le prove del passaggio e della permanenza nel Paese di Tarek Belgacem: alcune sim card, coltelli da cucina e una bandiera con scritto “Isis per sempre”, manco fosse la squadra del cuore. L’uomo, che sarebbe tunisino, avrebbe però usato il nome di Walid Salihi per cercare asilo politico in Europa ed era già stato classificato come “potenzialmente pericoloso” dalla polizia tedesca, la quale avrebbe detto che lo stesso Walid Salihi aveva lasciato la Germania lo scorso dicembre: sparito nel nulla da un giorno con l’altro. Il ministro degli Interni tedesco, Thomas de Maiziere, intervistato dalla ZDF ha dichiarato che il soggetto «ha viaggiato per l’Europa e ha fatto domanda di asilo dappertutto. Ha anche un passato criminale».

Bene, vediamo questi due punti, partendo dall’ultimo. Sapete dove fu arrestato all’inizio del 2014 questo mister x e con quale accusa? A Colonia per molestie sessuali su più donne, a cui avrebbe toccato il sedere e le parti intime. Di più, la polizia tedesca lo arrestò nel febbraio del 2014 in una discoteca di Colonia mentre stava palpando insistentemente una donna, mentre un mese prima aveva picchiato un senza tetto. E veniamo ora al primo punto evidenziato dal ministro Thomas de Maiziere: dov’è stato questo bravo personaggio, la cui vita è finita davanti a un commissariato parigino con, pare, addosso una finta cintura esplosiva? Il 31 gennaio del 2011 era in Romania, il 14 marzo ha fatto visita al nostro Paese, l’8 aprile è entrato in Austria, mentre l’8 gennaio del 2013 sarebbe arrivato in Svizzera dove si sono perse le sue tracce per un anno, salvo riapparire il 7 gennaio del 2014 in Germania, da cui se ne va subito, salvo fare richiesta di riammissione nel Paese il 21 febbraio del 2014 dalla Romania. Il 17 marzo del 2015 era in Svezia, dove in agosto ha fatto richiesta di ingresso a Recklinghausen, in Westfalia. Insomma, un simpatico globetrotter della palpata e del terrorismo islamico, conosciuto dalle polizie di mezza Europa, ma che ha scorrazzato tranquillamente per almeno cinque anni prima di finire ammazzato a Parigi da presunto martire, anche se le versioni sono discordanti.

Una donna intervistata da BFM TV ha infatti riferito quanto segue: «Si stava solo avvicinando ai poliziotti. Non era affatto armato. Gli hanno gridato: “Vai indietro! Indietro!” lui è indietreggiato alzando le mani …e di botto è tornato verso di loro e gli hanno sparato addosso tre volte… la signora che era a fianco s’è nascosta dietro un’auto, io mi sono nascosta a casa… non era armato per niente». Aveva o non aveva il coltello? Non che mi interessi troppo del destino di questo personaggio, ma se non lo aveva e poi sul luogo dell’accaduto è saltato fuori, mi pare abbastanza inquietante e fa il paio con le patenti e i passaporti degli altri attentati. Inoltre, dalle autorità francesi scopriamo che le sue impronte digitali corrispondono a una persona arrestata per furto a Saint Maxime, sud della Francia, nel 2013. Si era identificato come nato a Casablanca nel 1995, era senza fissa dimora e di nome Ali Sallah, identità non confermabile perché l’uomo non aveva documenti. Altro nome dei sette alias utilizzati per girare l’Europa.

Guarda caso, negli stessi istanti di questo “attentato”, il presidente Hollande stava parlando ai poliziotti, celebrava la morte dei tre agenti uccisi nell’attentato a Charlie Hebdo e diceva che la guerra al terrorismo sarebbe stata ancora lunga, tanto che sarebbe stato necessario irrigidire le leggi penali, mantenere lo stato di emergenza – che garantisce poteri eccezionali all’esecutivo – e, anzi, cambiare la Costituzione per renderlo permanente o quasi. Tu guarda le combinazioni: il fatto però è uno, sulla graticola c’è ancora la Germania e la Merkel per il ratto di Capodanno. Caso strano, poi, sempre in questi giorni è saltata fuori una nuova intercettazione di Hillary Clinton, quando era segretario di Stato Usa, desecretata per ordine giudiziario all’inizio di quest’anno, ma risalente al 30 maggio 2012, giorno in cui la Clinton riceve una e-mail da una sua fonte confidenziale in Germania contenente due memo relativi alla politica europea tedesca e ai progetti del ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble. E cosa scopriamo dal suo contenuto? Che quest’ultimo, due anni prima del voto plebiscitario per Syriza, aveva già deciso di cacciare la Grecia dall’eurozona. Sarà, ma a pare che i greci abbiano votato almeno quattro volte da allora, cosa che a noi italiani non è stata concessa dal 2011, che Syriza sia al potere e Atene ancora dentro l’eurozona. Tant’è, la pietra è stata scagliata, anche in questo caso in direzione di screditare Berlino.

Ed eccoci al finale, soltanto tre giorni fa, quando La Stampa, citando fonti diplomatiche europee, riferiva nientemeno che di una richiesta di aiuto da parte di Vladimir Putin al presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi. Lo so, sembra Scherzi a parte ma lo hanno scritto davvero. Oggetto della telefonata sarebbe stato il raddoppio del gasdotto Nord Stream – gestito per il 51% dal colosso russo Gazprom – che porterà il gas dalla Russia alla Germania bypassando l’Ucraina, un qualcosa di inviso agli Usa. «È stato il leader del Cremlino a chiamare il vostro presidente del Consiglio per verificare la possibilità di un ruolo italiano nel raddoppio del Nord Stream», è la ricostruzione offerta dalle stesse fonti al quotidiano torinese. In realtà – stando a quanto scritto domenica scorsa dall’Huffington Post – Renzi e Putin avevano già trattato l’argomento durante la telefonata di auguri di buon anno dello scorso 8 gennaio. Caso strano, a trattare l’argomento sono stati due organi di stampa italiani che più filo-statunitensi non si può.

E quale sarebbe il ruolo che Renzi dovrebbe svolgere in favore della causa di Gazprom? Stando a quanto ricostruisce la Stampa, il progetto Nord Stream 2 sarebbe inviso a molti membri dell’Unione per tre motivi: «Primo: aumenta la dipendenza energetica dalla Russia. Secondo: offre la possibilità di aggirare l’Ucraina. Terzo: la Commissione ha sollevato obiezioni perché si tratta, al momento, di un’infrastruttura prevalentemente tedesca, più vicina alla tipologia dell’”impresa esclusiva” che al “business paneuropeo”». La società che gestirà il Nord Stream 2, New European Pipeline, è controllata per il 51% da Gazprom e per circa il restante 50% da Shell, E.On, Basf, Omv ed Engie, ovvero colossi tedeschi, austriaci, olandesi e francesi.

Ed ecco il presunto coup de theatre del Cremlino, per completare il quale servirebbe l’assistenza di Matteo Renzi: solo l’entrata nel consorzio di un’azienda italiana potrebbe permettere di superare le obiezioni degli altri Paesi, dando così al progetto una “natura multilaterale”. Guarda caso, questa notizia (vera o falsa che sia) cosa fa emergere: un Renzi con profilo internazionale, quando non conta nulla al di là di Chiasso, una Russia aggressiva sul mercato dell’energia e delle infrastrutture strategiche, un’Ucraina colpita al cuore, una Turchia tagliata fuori e una Germania che sarebbe la principale beneficiaria della scelta, con ovvia anche se sottaciuta implicazione della fine delle sanzioni Ue contro Mosca che proprio Berlino ha così strenuamente difeso finora.

Sarà, in compenso nessun media mainstream ha trovato spazio per un’altra notizia, anch’essa relativa a file desecretati in ossequio al Freedom Of Informations Act statunitense e dalla quale emergerebbe chiaramente che il conflitto in Libia fu scatenato da Francia e Inghilterra con la regia degli Usa per modificare lo status quo delle relazioni commerciali e degli equilibri geopolitici della regione, facendoli pendere maggiormente a tutto sfavore italiano. Ovvero, nei vari carteggi tra Hillary Clinton, sempre quando era segretario di Stato e la gola profonda, “Sid” Blumenthal, sono emersi dettagli che hanno provato come Parigi e Londra abbiano voluto quella guerra per mettere le mani sul mercato libico ed estromettere l’Italia, sino ad allora partner privilegiato. Insomma, una guerra su procura – che l’allora governo italiano avversava proprio per ragioni strategiche, oltre che politiche ma nella quale fu trascinato a forza dall’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – per tutelare gli interessi di Total e BP e per schiantare l’Eni.

Meglio tacerle certe notizie e accodarsi al “dagli alla Germania” tanto in voga in questi giorni, senza porsi troppe domande scomode. Attenzione, siamo all’inizio di un nuovo 1992 e nemmeno ce ne accorgiamo.