Oggi l’Istat comunicherà i dati sulla produzione industriale di novembre. Numeri che saranno guardati con interesse, visto che si tratta di un mese che ha fatto registrare un tasso di disoccupazione all’11,3%, cioè il minimo dal novembre 2012. «Il miglioramento dell’occupazione è soltanto una conseguenza degli incentivi legati al Jobs Act. Prepariamoci a un 2016 con dati ben più negativi sia per quanto riguarda il lavoro sia per quanto riguarda il Pil», ci dice però il professor Claudio Borghi Aquilini, responsabile del dipartimento Economia della Lega Nord e consigliere della Regione Toscana.



Professore, perché continua a essere pessimista nonostante i dati positivi sull’occupazione?

In primo luogo il mix tra lavoro a tempo determinato e indeterminato è molto meno favorevole di quanto sembrava. I dati sono stati rivisti per decine di migliaia di posti a favore del tempo determinato e contro l’indeterminato. Il dato dunque continua a essere esattamente nella stessa scia della comunicazione del governo: si fa sempre passare ciò che è al di sotto delle previsioni come un grande successo. Le previsioni sulla disoccupazione in Italia nel 2015, a partire da quelle del Fmi, fornivano un dato inferiore all’11%.



Nel complesso però le assunzioni sono aumentate…

Queste assunzioni sono state generate da incentivi molto alti. Se noi avessimo preso le somme utilizzate per la decontribuzione e avessimo assunto persone per scavare delle buche nelle spiagge, la disoccupazione sarebbe scesa maggiormente. Quando cesseranno i provvedimenti straordinari sulla decontribuzione, i posti di lavoro smetteranno di aumentare: con il 2016 quindi questa ennesima bolla di sapone evaporerà. Dobbiamo prepararci al fatto che di qui in poi non c’è nessuna speranza che Pil e occupazione registrino dati positivi.

In attesa dei dati sulla produzione industriale, a suo modo di vedere quali sono le incognite e le sfide che si trova di fronte a sé l’economia italiana?



I mercati finanziari ci stanno dando un chiaro segnale: è finita la festa. Sta finendo quel periodo di illusoria tranquillità durante il quale l’Italia non è neanche riuscita a registrare una crescita del +1%. Per spiegare il calo sulla produzione industriale che potrebbe esserci nell’ultimo mese del 2015, la propaganda governativa ha detto che è colpa del ponte dell’Immacolata: ormai siamo alla farsa.

Perché?

Noi avevamo le condizioni macroeconomiche migliori mai esistite nella storia del nostro Paese, con tassi di interesse mai visti in precedenza, eppure il governo si è preso tutti i meriti di quel +0,8%. Arriva un dato negativo e la colpa invece è del Ponte dell’Immacolata. Se la gente prende per buone queste affermazioni, significa che il livello di anestesia presente in Italia è ormai clamoroso.

Nel frattempo le Borse sono in affanno. Che cosa significa?

Nel vedere per diversi giorni che le banche registrano in Borsa cali a volta anche a doppia cifra si può intuire che cosa ci aspetta. Per non parlare di altri campanelli d’allarme come Mediolanum che passa dall’8% al 6% con Fininvest che vende, e Monte dei Paschi ben al di sotto del livello dell’ultimo aumento di capitale.

 

Lei che cosa si aspetta che accada alle banche nel 2016?

Noi siamo entrati nel terreno minato del bail-in bancario senza alcun criterio né informazione, e in modo totalmente disordinato e illegale. Abbiamo cambiato anche le regole sul debito, senza tener presente la situazione del nostro risparmio. Rispetto a quelle europee, la percentuale di obbligazioni bancarie detenuta dai risparmiatori italiani è altissima.

 

Quindi la colpa è delle regole europee?

L’Italia è stata costretta ad accettare una regolamentazione totalmente sfavorevole, oltre che potenzialmente destabilizzante per l’intera Europa. Solo altre due decisioni in passato hanno avuto una portata così grave: il fallimento di Lehman Brothers e quello della Grecia. Non ci voleva molto a capire che se facevamo fallire il debito greco, prima o poi nella linea del fuoco si sarebbe trovato anche quello italiano. Ora con le nuove regole Ue sulle banche rischiamo di ripetere un effetto molto simile.

 

(Pietro Vernizzi)