Il battibecco tra Matteo Renzi e Jean-Claude Juncker continua con una scontata coazione a ripetere. Ieri il capo del governo italiano ha replicato irritato alla irritatissima risposta del presidente della Commissione europea: “L’Italia non si fa telecomandare”. Ogni giorno una stoccata. Adesso aspettiamo la replica da Bruxelles, anche se la baruffa è destinata a finire senza vincitori. Ha ragione Renzi, la flessibilità è diventata centrale nell’agenda europea durante la presidenza italiana, ma è vero che Juncker se ne è fatto interprete. Se volessimo gettare uno sguardo retrospettivo, dovremmo dire che a imporre una interpretazione più morbida delle regole di Maastricht è stato il caso italiano insieme alla consapevolezza che non poteva essere (mal) gestito come il caso greco.
E il caso italiano non chiama in causa solo Renzi, ma Berlusconi, Prodi, ancora Berlusconi, Monti, Letta. Anch’esso ha origini complesse e molti colpevoli, come nel racconto di Agatha Christie “Assassinio sull’Orient Express”, è difficile stabilire chi ha inferto il colpo fatale. Ci sono gli errori dell’Ue e della Germania (anzi, spesso delle vere e proprie prepotenze) sui quali tanto è stato scritto, ci sono le divisioni tra i paesi e le debolezze della Commissione, ma bisogna anche ricordare che la lettera della Bce con la sue raccomandazioni sulle riforme strutturali risale all’agosto 2011, il Jobs Act è entrato in vigore nella primavera del 2015.
Vero, l’Italia ha cambiato le pensioni con una misura durissima e per molti versi punitiva, la Francia non le ha toccate, la Germania sta tornando indietro. Ma anche quella riforma è stata realizzata in fretta, sotto la pressione dei mercati, in piena guerra dello spread; ciò ha provocato errori per correggere i quali il nuovo presidente dell’Inps Tito Boeri vorrebbe rimetterla in discussione. Incertezza, confusione, tutto ciò alimenta di nuovo l’immagine di una politica italiana sempre in affanno, priva di strategia, che sceglie giorno per giorno.
Dunque, meglio chiudere l’incidente diplomatico. Siccome è l’ultimo di una serie, Renzi farebbe bene a chiedersi come mai non ha alleati nell’Ue, nemmeno nel Partito socialista nel quale ha fatto entrare a pieno titolo il Pd. Non era così un anno fa quando il rottamatore era stato accolto come un rinnovatore. Dunque, il pregiudizio antitaliano non c’entra. Vuoi vedere che il governo di Roma ha commesso qualche errore?
Sul piano diplomatico, a nostro avviso, il più grave è avvenuto dopo l’attentato del 13 novembre a Parigi: l’Italia non ha offerto subito l’aiuto che la Francia chiedeva, lo stesso che poi le ha dato Angela Merkel. Anche la Cancelliera è stata riluttante e s’è mossa in ritardo, ma lo ha fatto. Si tratta di poche centinaia di soldati per rimpiazzare le truppe francesi in Libano, un po’ di polizia militare in Mali, qualche Tornado per sorvegliare e fare fotografie in Siria. Impegni non gravosi per la verità. Renzi ha detto che voleva guidare un intervento in Libia, ne parla dallo scorso anno, ma non ha proposto ancora nulla di concreto, in ogni caso non può farlo da solo e ormai si è alienato anche l’appoggio di Hollande.
Sull’immigrazione, l’Italia ha ragione a difendere la sua linea di accoglienza, ma non dimentichiamo che i tedeschi ospitano un milione di profughi, quindi qualche ragione ce l’hanno anche loro. In ogni caso a Roma si sono fatte come al solito tante chiacchiere, ma dal dire al fare c’è di mezzo l’intero Mediterraneo. Inutile negare i nostri ritardi, meglio rimboccarsi le maniche.
Anche sulla politica economica Renzi ha dato l’impressione di parlar bene e razzolar male. Ha ragione di chiedere che l’Ue non sia fiscale sul disavanzo, che non metta i bastoni tra le ruote della bad bank, che sull’Ilva non violi l’impegno preso due anni fa con il piano Tajani secondo il quale i governi possono aiutare le imprese siderurgiche a risanare l’ambiente e a ristrutturarsi ecologicamente. Ma nello stesso tempo deve presentare politiche economiche coerenti. Ciò vale soprattutto sulla politica fiscale.
L’Ue critica la Legge di stabilità su due punti chiave: le tasse e la spending review. La Commissione aveva suggerito di concentrare le scarse risorse sul lavoro, invece Renzi con una capriola improvvisa che ha preso di sorpresa lo stesso ministro dell’Economia, ha scelto la prima casa. L’Ue voleva un meccanismo coerente e di lungo periodo che consentisse di risparmiare risorse per alleggerire il debito pubblico. Renzi ha liquidato il commissario Cottarelli e con lui la stessa spending review. È evidente che a Bruxelles siano irritati, e bisogna riconoscere che se la sono presa con i fatti più ancora che con le parole.
È possibile rimediare? Sì, se si ammettono i propri errori mentre si denunciano quelli altrui. Renzi deve presentarsi all’esame di riparazione, a marzo, con un pacchetto di riforme economiche, quelle promesse e ancora non fatte (liberalizzazioni, concorrenza, Pubblica amministrazione, privatizzazioni), con tagli alla spesa pubblica e rilanciando una revisione strutturale delle uscite dello Stato. Deve riprendere la collaborazione con la Francia. Deve adottare una politica efficace e ferma sulla immigrazione clandestina. Tre passi concreti per saltare il fosso prima che diventi un baratro.