L’economia cinese, il calo dei prezzi delle materie prime e il ritmo dei futuri rialzi dei tassi Usa sono tra i rischi più temuti dagli investitori nel 2016. Ma restano anche le preoccupazioni per l’Europa che non cresce e per le sue potenziali crisi. Per esempio, la Grecia, la cui situazione è tutt’altro che risolta, e il referendum in Gran Bretagna, che potrebbe sfociare in una sua uscita dall’Unione europea.



La Cina è generalmente indicata come uno dei maggiori rischi per i mercati. Il rallentamento dell’economia cinese continuerà ad avere un forte impatto sui prezzi delle commodities. Questo, a sua volta, si ripercuoterà sulle economie dell’America Latina. I gestori finanziari esposti sui mercati emergenti, come Aberdeen Asset Management e Ashmore, hanno visto ridursi i profitti nel 2015 e hanno subito la fuga dei clienti. E questo mentre l’economia cinese cresce comunque a un ritmo del 7%. Ma cosa succederebbe in uno scenario di hard landing? Il timore di un impatto che verrebbe avvertito a livello globale sta spingendo gli investitori a una fuga in massa dai mercati emergenti che ha tutta l’aria di continuare nel 2016. Circa i tassi, molti nella City si aspettano un rialzo graduale perchè graduale è la ripresa dell’economia statunitense, la cui crescita è in gran parte il risultato di un indebitamento eccessivo. Al contrario, un rialzo più rapido scatenerebbe il panico sui mercati.



“Il rischio è che la Fed alzi i tassi in modo più aggressivo di quanto i mercati si aspettano,” dice Dolores Ybarra, global CIO di Santander Asset Management. Il ritmo dei futuri rialzi, aggiunge, è una delle maggiori preoccupazioni degli investitori per il nuovo anno. A proposito di debito, quello degli Stati Uniti era di 17,8 trilioni di dollari al 30 Settembre 2014, secondo lo US Government Accountability Office. Lo stesso ufficio ha stimato che il debito in obbligazioni del Tesoro detenute da investitori stranieri rappresenta il 48% del debito pubblico totale. Una grossa fetta del debito nei confronti di investitori stranieri e internazionali (governi, istituzioni e individui), è in mano a Cina e Giappone.

Per Amin Rajan, Ceo della società di consulenza Create-Research, siamo di fronte a un debito ormai ingestibile e in continua crescita, che è come una bomba pronta ad esplodere. Una situazione aggravata negli anni dagli interventi delle banche centrali che hanno contribuito ad aumentare il debito globale nel tentativo di dare stimoli all’economia. Nella zona euro, la Bce continuerà il suo programma di acquisto di obbligazioni (Qe) per pompare liquidità nel sistema, ma la decisione della Fed di alzare i tassi Usa ha segnato la fine di un lungo periodo di tassi bassi. Se è vero infatti che i bassi tassi d’interesse hanno giocato a favore dei debiti sovrani, è anche vero che il cambio della politica monetaria statunitense potrebbe causare problemi a fragili economie appena uscite dalla recessione. Diversi paesi dell’eurozona, tra cui l’Italia, hanno un debito che supera il loro Pil annuale.

L’Europa ha un disperato bisogno di crescere per mantenere la sostenibilità del debito, ma non si intravede all’orizzonte una concertata e credibile politica di investimenti. A questo si aggiunga la crisi dell’immigrazione e il rafforzarsi di partiti populisti e anti-immigrati, come il Front National in Francia. Peter Westaway, chief Europe economist di Vanguard Asset Management, sostiene che il rischio di una spaccatura nel sistema della moneta unica sia oggi molto più ridotto rispetto a qualche anno fa. “Il rischio che paesi come la Grecia possano essere buttati fuori dall’unione monetaria o lasciarla volontariamente è oggi molto più basso”, dice Westaway. Quello che piuttosto viene percepito come un rischio molto serio per l’Europa sono gli ostacoli che ancora frenano un funzionamento più efficace della moneta unica. Secondo l’economista, i paesi europei dovranno lavorare insieme alla formazione di una migliore unione bancaria, fiscale e politica.

Ma tra gli ostacoli e le sfide che ancora si frappongono a questo obiettivo c’è per esempio il rischio di una “Brexit”, ovvero la possibilità che la Gran Bretagna voti quest’anno di lasciare l’Europa. “L’immigrazione sarà il principale fattore” che peserà sul referendum, dice Westaway. La crisi dell’immigrazione ha portato molti paesi a irrigidirsi su posizioni nazionaliste. Queste tensioni contribuiranno ad aumentare le possibilità che la Gran Bretagna decida di lasciare l’Ue perchè “la gente è preoccupata” e voterà “senza realmente pensare alle conseguenze economiche”, sottolinea Westaway. C’è poi l’incognita rappresentata da eventi inaspettati e imprevisti, che gli investitori chiamano “Black Swan”, cigno nero. Si tratta di eventi non prevedibili, ma che avranno un impatto sui mercati finanziari. Per esempio, una crisi petrolifera provocata da un attacco terroristico devastante a un importante oleodotto in Medio Oriente, o lo scoppio di un nuovo conflitto scatenato dalla crisi dell’immigrazione.