“Dopo che tutti gli altri Stati europei, dal Regno Unito alla Germania, sono intervenuti per salvare le banche, oggi ciò è precluso all’Italia la cui unica colpa è quella di essersi mossa in ritardo. Il paradosso è che il Consiglio dei capi di Stato e di governo ha deciso di consentire un intervento dei fondi sovrani di Cina o Emirati arabi, mentre lo ha vietato agli Stati europei”. È il commento di Paolo Cirino Pomicino, ex ministro della Funzione Pubblica, del Bilancio e della Programmazione economica. Ieri le borse europee hanno registrato una performance positiva, ma Piazza Affari ha vissuto un’altra giornata nera per le banche.



C’è un legame tra le Borse in difficoltà e le tensioni tra Renzi e la Commissione Ue?

Non penso ci sia una connessione di questo tipo, anche se in momenti difficili litigi o contenziosi, peraltro non politicamente motivati, non agevolano certo l’uscita dalla crisi. La crisi delle Borse e del nostro sistema bancario è per l’ennesima volta un frutto avvelenato di quello che nessuno vuole vedere, e cioè del capitalismo finanziario. La capitalizzazione di borsa di alcune banche come la Carige è al di sotto del patrimonio netto.



Di che cosa è indice il patrimonio netto superiore alla capitalizzazione di Borsa?

Del fatto che gli indici di Borsa spesso sono falsati dalla speculazione, come non a caso è stato richiamato dal presidente della Consob, e dai movimenti tutti finanziari che poco dicono della realtà economica di banche e imprese industriali. L’eccessiva finanziarizzazione dell’economia internazionale espone tutte le imprese, bancarie e non, a tempeste di questo tipo la cui origine è finanziaria.

Perché la finanza non è in grado di garantire la stabilità delle imprese?

Perché noi siamo in una fase in cui alla globalizzazione non ha corrisposto un nuovo ordine monetario. Quest’ultimo è stato garantito fino al 1973 dagli accordi di Bretton Woods, e poi dal Sistema monetario europeo che però è saltato nel 1992. L’assenza di un nuovo ordine monetario e l’eccessiva finanziarizzazione dell’economia mondiale espongono l’economia reale e le stesse istituzioni bancarie a tempeste “tropicali”.



In che modo è possibile uscirne?

Ci sono problemi reali che andrebbero affrontati. La nuova disciplina delle unioni bancarie ha dentro di sé delle follie vere e proprie. Per esempio, nell’ambito di un possibile default bancario si è stabilito di fare pagare anche ai correntisti al di sopra dei 100mila euro. Mi domando quale responsabilità abbiano nella gestione della banca coloro che vi depositano i loro soldi.

Perché in questo momento a pagare sono solo le banche italiane?

Perché questo è un elemento che negli altri Paesi europei era stato risolto in modo intelligente prima che arrivasse questa nuova disciplina, ricapitalizzando o nazionalizzando le banche con soldi pubblici. Lo documentano i casi delle banche britanniche come la Royal Bank of Scotland, olandesi come la Abn Amro, per non parlare di quelle lussemburghesi o tedesche. I Paesi che non hanno invece consentito l’intervento pubblico oggi si espongono ad avere dei crediti incagliati, per i quali si cerca di intervenire a “stalle aperte”.

 

Perché oggi lo Stato italiano non può intervenire?

La nuova disciplina delle unioni bancarie impedisce a Stati e fondi pubblici europei di intervenire, mentre lo consente ai fondi sovrani di Cina e Paesi arabi. Mi domando se possiamo andare avanti con questa schizofrenia legislativa, che purtroppo coinvolge la responsabilità non dell’Europa in senso astratto, quanto piuttosto del Consiglio dei capi di Stato e di governo che hanno tutti approvato la nuova disciplina.

 

Se ci fosse la bad bank, assisteremmo a questo crolli delle banche in Borsa?

Francamente non vedo perché si dovrebbe dare una garanzia statale alla bad bank, quando poi lo Stato non può intervenire nelle singole banche in difficoltà. Con il paradosso aggiuntivo che a poterlo fare è invece il fondo di Singapore o degli Emirati Arabi, che sono fondi sovrani.

 

(Pietro Vernizzi)