È assai probabile che i “faccendieri” italiani che stanno spuntando come funghi attorno al crack di Banca Etruria abbiano fatto transitare almeno un po’ della loro finanza opaca attraverso il Lussemburgo: la piattaforma finanziaria offshore al centro dell’Europa, di cui il dominus politico-finanziario recente è stato l’attuale presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. Tutt’altro che lo “statista” dipinto in questi giorni anche da molti media italiani.



Il problema – politico e personale – del premier italiano Matteo Renzi è quello di essersi trovato stretto fra due diversi fronti di “faccendieri”: al punto da venire sospettato di conflitto d’interesse (cioè di essere lui stesso un “faccendiere”) da una mozione formale di sfiducia presentata da MS5, di fatto la seconda forza parlamentare. Un premier italiano può essere sotto pressione dalle opposizioni interne, ma non può trovarsi contemporaneamente sotto la pressione dell’ex-premier di una “Banana Republic” di lusso e degli epigoni aretini della P2 (almeno quelli originali giocavano con l’Ambrosiano e con la Rizzoli). Un outsider di razza come Silvio Berlusconi, cinque anni fa, ha chiamato in campo i capi di stato e di governo di Francia e Germania.



Il problema emergente delle banche italiane – problema economico-finanziario e personale di tutti gli italiani – è quello di ritrovarsi oggetto non solo di una loro crisi strutturale molto seria, ma anche pendaglio di una confronto fra “faccendieri” che serio non potrà mai essere. Certo, anche una parte della crisi strutturale delle banche italiane è legata alle infiltrazioni di faccendieri vecchi e nuovi. Infiltrazioni aggravate dall’inefficacia della vigilanza creditizia interna della Banca d’Italia: sulla quale ha avuto fin dall’inizio gioco facile la nuova vigilanza esterna della Bce. Nulla di questo è attribuibile alla responsabilità di Renzi: ma oggi è responsabilità ultima sua accelerare e proteggere il riassetto bancario interno. Sgombrando il campo anzitutto dai banchieri-faccendieri che popolano anche il suo “cerchio” e dando respiro politico-istituzionale alla sua polemica con l’Ue. Un’Europa che non è quella di Juncker, il più piccolo e sbagliato degli avversari.



Mario Draghi, il presidente (italiano) della Bce, non è, non è mai stato e mai sarà un faccendiere. Può forse – paradossalmente – rappresentare in questo momento un “problema” per le banche italiane. È il paladino della flessibilità monetaria nell’area euro, gemella della flessibilità fiscale invocata da Renzi e oggi a maggior ragione detestata dalla Germania.

Ed è anche il capo istituzionale dell’Unione bancaria: che però è operativamente gestita dalla francese Danièle Nouy, la quale una ne pensa e cento ne fa ogni giorno pur di mettere i bastoni fra le ruote delle banche “ex-vigilate” dal suo superiore Draghi (l’ultima trovata è “un semplice e normale questionario” sulla gestione di 200 miliardi di sofferenze creditizie da recessione-austerity in Italia: nitroglicerina pura agitata con nonchalance parigina).

C’è un solo modo per far sì che il “mai-faccendiere” Draghi e il “quasi-faccendiere” Renzi possano aiutarsi a vicenda e (forse) aiutare il sistema bancario del Paese di entrambi: far sì che almeno si parlino. Forse lo stanno già facendo. Gli italiani “vigilati” lo sperano.