Tarantini, che effetto le fa vedere le quattro banche nate dalle ceneri di Banca Marche, Banca Etruria, CariFerrara e CariChieti messe in vendita dalla Banca d’Italia proprio mentre tutti i titoli bancari crollano in Borsa? «Beh, mi sembra evidente: abbiamo quattro banche ripulite dai problemi del passato e messe sul mercato e altre banche che hanno ancora dentro crediti dubbi, è chiaro che gli investitori preferiscono puntare su banche già ripulite. Quindi c’è un problema di par condicio. E quindi c’è un problema di sistema». Graziano Tarantini, presidente di Banca Akros e docente di corporate governance nella Facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell’Università Cattolica di Milano, non dissimula la sua preoccupazione per l’attacco borsistico che ha travolto i titoli di numerosi istituti di credito nazionali. E certo, il calo dei valori delle banche fa il gioco di chi, domani o dopodomani, volesse comprarle per poco: non tanto gruppi italiani (non se ne vedono) quanto stranieri.
Tarantini, come si spiega il fenomeno del crollo delle banche di questi giorni in Borsa?
Sicuramente quel che sta avvenendo trova una sua ragione d’essere nei problemi che riguardano le banche e non solo o tanto la Borsa, afflitta anche dal crollo del prezzo del petrolio e dalla frenata della Cina. Tutto il ragionamento va centrato sul problema dei “non performing loans”, come in inglese si chiamano i crediti incagliati. È un problema che richiede maggiore attenzione istituzionale.
In che senso? In cosa dovrebbero far di più le istituzioni?
Andiamo con ordine. Molto banche italiane, negli ultimi durissimi anni di crisi, hanno visto crescere dentro i loro conti le conseguenze di questa crisi. Paradossalmente, hanno forse accentuato questa crisi per continuare a finanziare le imprese anche negli anni peggiori, finendo col finanziare spesso creditori che semmai avrebbero dovuto essere sostenuti con capitale di rischio e non di credito.
Che intende?
Anni fa, attraverso un libricino intitolato Banche e finanza. La transizione incompiuta (Guerini & Associati), lanciai un allarme: “Attenzione!”, dissi, “si sta riformando il sistema bancario italiano, ma stiamo buttando via il bambino con l’acqua sporca”. Smantellando i mediocrediti stavano togliendo al sistema l’unico strumento idoneo a erogare credito a medio-lungo termine per investimenti industriali, ma non avevamo, a differenza di molti altri Paesi avanzati, la grande valvola della Borsa per finanziare le imprese… L’elevato livello delle attuali sofferenze bancarie italiane nasce anche da questo.
Ma le sofferenze fanno paura anche a lei?
Certamente il livello dei crediti dubbi è cospicuo e ammonta a 350 miliardi, una vera zavorra nel sistema, come lo è il debito pubblico italiano. Eppure non penso che la situazione sia drammatica come sembrerebbe a giudicare dal comportamento dei mercati. Piuttosto, è chiaro che con la cattiva reputazione di cui soffrono oggi le banche qualsiasi notizia va data con prudenza, senza toccare nervi scoperti. La lettera della Bce che informa di avviare un’indagine conoscitiva sul portafoglio creditizio delle banche è di per se una buona notizia, eppure ha sortito effetti devastanti.
E le istituzioni?
Fronte critico. Il problema vero è che la politica usa le banche solo per parlarne male, ha fatto diventare le banche nient’altro che un bersaglio del populismo. Ha mai sentito parlare i nostri politici a livello comunitario su cosa serve alle banche italiane in Europa? No! Eppure questo tema avrebbe dovuto essere da tempo al centro del dibattito. In Italia sono state fatte mosse sbagliate come, secondo me, la riforma delle popolari: avvenuta per decreto. Io dico che sì, era giusto riformarle, perché da anni la categoria tardava ad avanzare proposte, ma fatta così la riforma rischia di essere controproducente. E di nuovo buttiamo via il bambino con l’acqua sporca. Per esempio, oggi che i titoli delle Popolari sono quelli più colpiti, andrebbe quantomeno fatto un provvedimento d’urgenza per far slittare il termine imposto di dicembre 2016 per la trasformazione delle Popolari in Spa. Quando si legifera in materia bancaria bisogna adottare la massima sensibilità, perché lì dentro, nelle banche, ci sono le risorse finanziarie delle famiglie e del sistema economico.
Da tutte queste premesse deriva il crollo di Borsa?
In qualche modo sì, ma il fenomeno ha distorto la realtà, tutti i criteri di valutazione delle nostre banche e quell’indicatore fondamentale che è il parametro del Cet 1 sono in regola con i dettami della Banca centrale europea. E allora perché bersagliarle di vendite?
Forse perché i mercati credono che l’Italia non riuscirà a risolvere il problema delle sofferenze!
Invece io penso che con la bad bank si possa risolverlo, a patto di costituirla e regolarla con grande oculatezza.
Qual è la ricetta per la buona Bad bank?
L’importante è che si cedano crediti a bad bank che abbiano all’interno un solido socio finanziatore e un socio tecnico che sia capace di gestire in modo efficiente i crediti incagliati per un miglior recupero.
Ma l’Europa ce la proibisce…
Già, perché evoca il problema degli aiuti di Stato. Secondo me questo punto va al più presto affrontato seriamente e risolto dalla politica e dalla diplomazia europea.
Che ne pensa del bail-in?
Gli Stati Uniti hanno dimostrato che un intervento di salvataggio sulle banche per non farle fallire produce risultati migliori di quando si decida invece di farle fallire…
Però è giusto che chi sbaglia paghi!
Certo, i responsabili della cattiva gestione devono essere puniti, ma qui si tratta di mantenere in vita il sistema. Le banche sono anche infrastrutture, non sono aziende normali, non le si può far fallire, sono vigilate, quindi di loro eventuali problemi debbono farsi carico i sistemi-Paese, gli Stati.
E invece?
Invece, il bail-in nasce per scaricare il costo dei fallimenti sui loro azionisti. Ma fin qui, saremmo tutti d’accordo e non è nemmeno una novità. La novità perversa è che invece il meccanismo scarica il danno del fallimento anche sui risparmiatori e sui depositanti. E com’è possibile che in un’azienda vigilata dall’autorità pubblica, a pagare per gli errori gestionali non siano soltanto gli azionisti e i manager, ma anche i clienti di quelle aziende? Inoltre, di fatto, nessuno acquisterà più gli strumenti finanziari, come i prestiti subordinati, esposti al rischio del bail-in. Questo complicherà molto, per le banche, la raccolta. Si verrà a restringere la platea di quelli che sottoscriveranno questi strumenti e anche tra gli investitori istituzionali più esperti molti potranno essere scoraggiati dall’idea di investire in strumenti così rischiosi. Fatto così, il bail-in diventa un ennesimo motivo di terrore e genera altri problemi. Ed è un paradosso…
(Sergio Luciano)