«Draghi per il momento ha interrotto una spirale che si stava avvitando sempre più verso il basso», ma «i problemi ci sono ancora tutti». A evidenziarlo è Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Venerdì l’indice Ftse-Mib della Borsa di Milano ha continuato a riprendersi, chiudendo la giornata . L’ottimismo sulle borse è stato in larga parte attribuito all’intervento del presidente della Bce, Mario Draghi, che giovedì ha promesso tassi fermi ancora per lungo tempo e nuovi interventi a marzo.



Dopo l’intervento di Draghi le borse sono tornate a crescere. Possiamo dire che tutto è risolto?

Non è stato tutto risolto, ma Draghi per il momento ha interrotto una spirale che si stava avvitando sempre più verso il basso.

L’intervento della Bce risolve i problemi o ci sono ancora tutti?

I problemi ci sono ancora tutti, ma non dipendono da Draghi. La questione più problematica sul tavolo è il referendum in Gran Bretagna, rispetto a cui c’è un grado di imprevedibilità molto elevato. La situazione della Cina inoltre non è affatto risolta: l’indice di Borsa di Hong Kong ha perso oltre il 30% da maggio a oggi ed è difficile dire se abbiamo toccato il fondo. Il terzo serio problema è quello legato al prezzo del petrolio.



Che cosa deve fare Draghi per allontanare gli spettri della crisi?

La soluzione ottimale sarebbe aumentare l’ammontare del Quantitative easing. Nel complesso comunque, in quanto presidente della Bce, Draghi è l’unico che sta portando avanti una politica europea. Tra i beneficiari della nuova politica monetaria ci sarà sicuramente anche l’Italia, ma soprattutto la Germania. È molto probabile dunque che i nuovi indirizzi previsti per i primi di marzo saranno approvati anche da Berlino.

Perché le politiche monetarie di Draghi hanno conquistato la Germania?

Perché oggi siamo in piena deflazione e la Bce risponde adeguatamente a questo problema. Fino a qualche anno fa si usava distinguere tra inflazione nominale e core inflation, dove quest’ultima è calcolata al netto del petrolio e della componente alimentare. Oramai però siamo di fronte a problemi così strutturali che quella che conta di fatto è l’inflazione nominale.



Quali conseguenze avrà la deflazione?

In linea di principio la deflazione dovrebbe essere quasi un beneficio. La riduzione del prezzo del petrolio che da 100 dollari scende a meno di 30 dovrebbe avere forti conseguenze anche sul prezzo della benzina alla pompa. Nella realtà la benzina è diminuita, ma non così tanto.

Che cosa si aspetta per quanto riguarda il prezzo del petrolio?

Nonostante il lieve rimbalzo di giovedì e venerdì, i mercati petroliferi si trovano sempre in una fase delicatissima. Da un lato c’è un eccesso di produzione, ma dall’altro lo stock di petrolio immagazzinato ha raggiunto una dimensione mai conosciuta prima. Ormai non ci sono più gli spazi fisici per stoccare il petrolio prodotto in attesa di vendita.

Perché di recente i mercati sembrano seguire l’andamento del petrolio?

Ci sono due correlazioni di fondo, con azioni e obbligazioni. Si tratta di correlazioni simmetriche, nel senso che quando una sale l’altra scende. Nel caso del prezzo del petrolio la situazione è molto delicata.

 

In che senso?

In questo momento l’unico Paese che sta andando bene dal punto di vista economico sono gli Stati Uniti. Un prezzo del petrolio che scende al di sotto dei 30 dollari manda in fallimento una quantità di imprese che hanno adottato nuove tecnologie come lo shale gas, e che negli Stati Uniti sono state fortemente finanziate dalle banche.

 

E quindi?

Nel momento in cui queste imprese dovessero fallire, gli effetti sul sistema bancario americano potrebbero essere rilevanti. La diminuzione del prezzo del petrolio determina inoltre dei licenziamenti anche negli Stati Uniti.

 

Lei si aspetta che il petrolio continui a calare?

Se l’Arabia Saudita lo decidesse, il prezzo del petrolio potrebbe scendere tranquillamente fino a 20 dollari. I costi di estrazione del petrolio saudita sono pari a circa 3 dollari, cui si aggiunge un dollaro per la raffinazione. L’Arabia Saudita è quindi in grado di tenere una situazione di questo tipo per almeno un anno.

 

(Pietro Vernizzi)