Non so quanti di voi abbiano letto giovedì l’intervista a Matteo Renzi del direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano. Spero in pochi, più che altro per evitare una letargia di massa, visto che a livello di appiattimento filo-governativo tramutava l’Istituto Luce in un critico feroce del Ventennio. Tant’è, un rivolo di parole per descrivere un mondo che non esiste, un’Italia che non c’è, ma alla fine qualcosa di interessante è saltato fuori. Per l’esattezza, tre righe. Questa la domanda del direttore: «Il Monte dei Paschi, in particolare, è sotto attacco: ha perso oltre il 40% in tre giorni. Gli investitori e i risparmiatori sono preoccupati. C’è una soluzione in vista? Può rassicurarli e come?». Ed ecco la risposta del primo ministro: «Il Monte dei Paschi oggi è a prezzi incredibili. Penso che la soluzione migliore sarà quella che il mercato deciderà. Mi piacerebbe tanto fosse italiana, ma chiunque verrà farà un ottimo affare». Praticamente, un promotore finanziario. Peccato che a casa mia, un politico non dovrebbe mai permettersi affermazioni simili in pubblico, tanto più su un giornale di diffusione nazionale: a mio modo di vedere, è stato un palese caso di aggiotaggio di Stato. Ma non c’è da stupirsi, ormai viviamo in un mondo parallelo, siamo davvero ai confini della realtà.
Ieri mattina, come al solito, ho guardato la rassegna stampa e mi sono soffermato, sobbalzando, di fronte a questa affermazione rilasciata da Mario Draghi al World Economic Forum di Davos riguardo le turbolenze borsistiche dei giorni scorsi attorno ai titoli bancari del nostro Paese: «In Italia c’è stata un’errata interpretazione della lettera-questionario inviato dalla Bce su come i Paesi stanno gestendo i crediti in sofferenza. Non vi era nulla di più che conoscere le diverse pratiche nazionali in merito». Direte voi, che sospiro di sollievo! E in effetti ieri il Ftse Mib verso l’ora di pranzo veleggiava a quota +2,20% con Monte dei Paschi che in apertura era stata bloccata addirittura per eccesso di rialzo. Io leggo quelle parole in un altro modo, però, e mi viene da piangere: pur di rassicurare i mercati, Mario Draghi ha detto ciò che in cuor suo non voleva dire, ma che profondamente pensa. Ovvero, che in Italia il mercato è in mano a una manica di incapaci che non sa nemmeno leggere quanto scritto su una lettera-questionario. Di più, ci sono voluti due giorni di tonfi e l’intervento di premier a mezzo stampa e governatore della Bce per risolvere un mero equivoco interpretativo.
Delle due l’una: se è vero, in un Paese civile si chiederebbe la testa dei vertici delle banche interessate, delle autorità di vigilanza e controllo e della Banca d’Italia. Se invece è falso, come penso, allora i dubbi crescono e parecchio. Soprattutto sull’imparzialità di Mario Draghi. Il quale, sempre da Davos, ha smontato la questione delle sofferenze bancarie italiane citando gli accantonamenti per 120 miliardi già operati, un qualcosa che abbasserebbe drasticamente quota 200 miliardi. Al netto che con gli incagli si arriva a quota 350 miliardi, Draghi omette una cosa: ovvero che le banche italiane, mediamente, sono state un po’ ottimiste nelle loro svalutazioni dei non performing loans, visto che hanno messo a bilancio la possibilità di recupero del 40-50% di quei crediti deteriorati, quando la storia ci insegna che cara grazia se si porta a casa il 20-25% e si tende a venderli a 40 centesimi sull’euro a fondi privati che li vogliono pur di levarsi dai bilanci. Sarà per questo che si sono accaniti su Mps durante questa settimana? Può anche essere, ma non mi pare che la situazione di Mps e delle sue sofferenze e incagli sia stata resa nota pochi giorni fa o che molto recentemente abbia visto venire alla luce novità sconvolgenti o inaspettate. Si è colpito a freddo una preda debole, ma che non si era staccata dal branco: era un’azione preordinata. E per un’azione preordinata simile occorrono complici, altrimenti si rischia davvero l’irreparabile: ovvero, Lehman Brothers.
Ma chi ha attaccato Mps non voleva solamente guadagnare al ribasso, prima con le vendite allo scoperto e poi attraverso opzioni put che obbligavano la banca che le emetteva a scaricare titoli Mps per coprire la posizioni (in questo caso la banca non viola il divieto di vendita), bensì renderla un boccone a costo pressoché zero, come ha confermato il premier nell’intervista al principale quotidiano economico italiano. E sapete perché? Non c’è bisogno di aspettare marzo per sapere come amplierà il piano di Qe la Bce, come ha annunciato giovedì Draghi, ve lo dico io adesso. A marzo l’Eurotower annuncerà l’inserimento nel paniere di assets eligibili per l’acquisto anche le obbligazioni bancarie, il tutto attraverso una ridefinizione delle stesse come asset class in preferred capital e con la garanzia di mamma Bce che compra, tutto torna a posto e non si vedranno più i casi Etruria e Banca Marche. I quali, sappiatelo, non sono stati solo frutto di malagestione o truffe agli sportelli, ma sono stati fatti scoppiare apposta e a orologeria, in piena introduzione di bail-in per spaventare la gente, dare l’esempio e levare di torno ogni possibile opposizione al piano che vede in sintonia Renzi e Draghi: la ridefinizione del sistema bancario italiano attraverso fusioni, aggregazioni e acquisizioni.
Ancora l’altra sera da Bruno Vespa, Matteo Renzi ha ribadito che in Italia ci sono troppe banche e molti analisti continuano a ripetere che queste pesano troppo sull’indice Ftse Mib. Qualcuno, a vostro modo di vedere, ora potrà dire no alle scelte del governo, a partire dalla riforma del Credito cooperativo? Chi avrà il coraggio di affrontare il fuoco di fila di chi lo additerà come traditore della patria e potenziale detonare di nuovi casi Etruria o Mps? Serve fare rumore, serve creare cortina fumogena, ma, soprattutto, serve spaventare. E guardate che i mega-acquisti su Mps di giovedì e ieri hanno visto attivi anche molti fondi italiani, i quali si lanciano su prelibate obbligazioni subordinate (rendimenti stellari, visto che martedì il bond subordinato Mps settembre 2020, cedola 5,6%, ha ceduto altre 10 figure, scendendo al prezzo di 51,50 con un rendimento ormai al 24%, quando solo a inizio gennaio rendeva il 7,5%) con la certezza che nulla di brutto potrà accadere ora che Draghi veglierà sul sistema bancario.
Ieri sul quotidiano La Stampa, l’inviato a Siena Gianluca Paolucci scriveva che il crollo di Mps era stato deciso a tavolino da tre fondi americani. Curioso, per due motivi. Primo, un retroscena da Oltreoceano svelato da un’inviato a Siena: quindi un insider dell’istituto toscano era informato e lo ha spifferato al giornalista? Oppure trattasi di telepatia? Secondo, La Stampa è oggi diretta da Maurizio Molinari, per molti anni corrispondente prima dagli Usa e poi da Israele. Insomma, uno che di entrature ne ha parecchie dove conta. Non stupisce quindi che il suo giornale abbia avuto la dritta, ma stando alla ricostruzione del giornale torinese alla base di tutto ci sarebbe il calcolo fatto la scorsa settimana sulla garanzia pubblica ipotizzata per le sofferenze di Mps. Una percentuale tra il 18% e il 20% a carico della Cassa depositi e prestiti, un’indiscrezione che ha trovato conferma in ambienti governativi. Di più, nell’articolo si offre conferma del fatto che il ministero dell’Economia e delle Finanze tiene da tempo un canale aperto con alcuni grandi hedge fund per la partita della bad bank, nell’ottica di trovare acquirenti per i prestiti deteriorati delle banche italiane.
Insomma, fatti due conti, dati i 24 miliardi di sofferenze nette della banca senese e i circa 10 miliardi di patrimonio netto, quella garanzia copre fino a 4-5 miliardi, quindi ne mancano una decina: situazione che vede il capitale di Mps valere zero. Da qui l’operazione, stando al quotidiano: scommessa al ribasso sul titolo. Non so a voi, ma a me questa ricostruzione, credibile, pare un chiaro messaggio in codice prima che un articolo per informare: deve saltare qualche testa, magari proprio al Mef.
Certo, se la scusa fosse quella della condivisione di notizie sensibili con i fondi, sarebbe un po’ deboluccia, perché sappiamo dallo scorso novembre che alcuni consiglieri della Banca centrale europea hanno tenuto regolari incontrione to one con manager del settore bancario privato e fondi speculativi pochi giorni prima della riunione di politica monetaria. Lo si leggeva in documenti dello stesso istituto centrale di Francoforte, la cui prassi vieta però agli esponenti del consiglio di trattare argomenti legati al costo del denaro. Anticipata all’epoca dal Financial Times, l’agenda dei consiglieri esecutivi rendeva conto di incontri tra agosto 2014 e l’agosto scorso con alte cariche del settore privato, tra cui manager di Bnp Paribas, Ubs, BlackRock e Goldman Sachs, oltre a esponenti di think-tankcome l’istituto Bruegel.
Ma c’è di più, visto che lo scorso maggio il consigliere esecutivo, Benoit Coeure, aveva rivelato, nel corso di un incontro a porte chiuse con banchieri privati, che Francoforte intendeva intensificare il ritmo degli acquisti nell’ambito del programma di Quantitative easing durante i mesi estivi. A casa mia si chiama informazione privilegiata, ma si sa, visti i miseri risultati che sta ottenendo il Qe, pur di ottenere un po’ di front-load dal mercato le regole possono passare in secondo piano. D’altronde, lo stesso Mario Draghi ha definito incontri del genere «essenziali» per la strategia sulla comunicazione della Bce. Insomma, la Bce è un broker.
Capite ora perché questa settimana folle sui mercati non va archiviata come speculazione ma come operazione politica? Ah, tanto per vostra informazione: l’espansione del programma di acquisto del Qe alle obbligazioni bancarie manterrà la solita key capital, ovvero 18% ai tedeschi, 12% agli italiani e via scemando. Capito perché Mario Draghi, giovedì in conferenza stampa, ha potuto dire apertamente e trionfalmente che le nuove manovre che verranno presentate a marzo hanno ottenuto l’unanimità del Consiglio. Perché la sempre rigida Bundesbank ha bisogno che la Bce compri obbligazioni Deutsche Bank con il badile, visto che dopo la perdita da 6 miliardi nel terzo trimestre 2015 con taglio del dividendo, la previsione di perdita netta per il 2015 è di 6,7 miliardi di euro. Netta.
Ma c’è di più e a dirlo è la stampa tedesca, nella fattispecie Der Spiegel. I nostri integerrimi teutonici, quelli alla Udo Gumpel con la risatina sarcastica sempre stampata sulla faccia, devono infatti fare i conti con il fatto che Deutsche Bank avrebbe incorporato all’interno della sua piattaforma Autobahn (autostrada, ndr) per gli scambi di valuta, un software in grado di danneggiare i clienti e arricchire la banca. Di fatto, la piattaforma sarebbe stata programmata in modo tale da ritardare gli ordini dei clienti e rifiutarli se il mercato avesse preso una direzione sfavorevole all’istituto tedesco. Non male, vero? Il problema è che questa accusa è alla base di una class action presentata dallo studio legale Hausfeld prima di Natale in un tribunale di New York.
E qui arriva il bello. Oltre agli aspetti penali, vengono chiesti anche tutti i danni civili, con le aggravanti morali ed etiche, per una cifra valutata intorno ai 10 miliardi di euro. E se il giorno stesso della denuncia, 21 dicembre 2015, Deutsche Bank ha immediatamente fatto ricorso sostenendo che si tratta di invenzioni, il giorno successivo il Tesoro Usa si è presentato come parte civile, sostenendo che – in caso le accuse trovassero riscontro in un’aula di tribunale – l’istituto tedesco sarebbe colpevole di «aggressione truffaldina ai danni della sovranità statunitense e dell’integrità del proprio sistema di mercato», un reato per cui il risarcimento danni potrebbe arrivare anche a 50 miliardi di dollari. Ovvero, il fallimento di Deutsche Bank.
Ecco il sano sistema bancario europeo, quello che passa gli stress test come vanno a dire certi banchieri nelle trasmissioni televisive, omettendo di dire che quegli stessi stress test negli anni li avevano passato brillantemente anche banche irlandesi, portoghesi e spagnole poi fallite o salvate con fondi europei. Non fidatevi, il bail-in è solo l’inizio di un nuovo regime dove a governare è la finanza, il voto e i Parlamenti stessi non contano più nulla. Scommetto che queste cose non le avete sentite nei talk-show, vero?