Ieri mattina – poche ore prima che agenzie e siti italiani si rincorressero nell’annunciare che Mario Greco è “indisponibile” a un nuovo mandato come amministratore delegato delle Generali – il Financial Times è uscito con un’analisi preoccupata sull’impatto dei nuovi requisiti patrimoniali per le compagnie d’assicurazione. L’articolo spaziava a livello globale ma si apriva con un’affermazione lapidaria riguardante il Leone: “Quando le Generali hanno fatto in modo di tenersi fuori dalla lista delle assicurazioni di rilevanza sistemica, lo scorso novembre, a Trieste è stato tutto un sorriso di soddisfazione”. Il focus – ben richiamato nella titolazione – veniva ben precisato: le “mosse vincenti” delle Generali sono state la vendita delle attività di riassicurazione negli Usa, poi della private bank elevetica Bsi al fondo brasiliano BTG Pactual, ora peraltro “in grosse difficoltà”.
Su ilussidiario.net ci siamo occupati dell’uscita del Leone dalle “Sifi”: ci siamo chiesti cosa ci fosse realmente da festeggiare allorché le Generali venivano ufficialmente declassate fuori dalla top ten delle big assicurative globali. Ci siamo occupati anche delle “difficoltà” sopraggiunte per la vendita di Bsi, allorché il Ceo di BTG, Andrè Esteves è stato arrestato per gravi fatti corruttivi: parte della transazione con Generali era stata infatti regolata in azioni BTG, il cui valore è ovviamente crollato alla Borsa brasiliana. Ci siamo chiesti anche allora se veramente il Leone dovesse preoccuparsi del possibile ritorno di Greco al gruppo elvetico Zurich Financial: se e perché gli azionisti triestini – come informava e soprattutto suggeriva lo stesso Financial Times – avrebbero dovuto fare il possibile per trattenere il “top business talent” (sic) raddoppiandogli un compenso superiore ai 3 milioni annui.
Ieri di fronte ai nuovi rumor ufficiosi (Greco non si è ancora dimesso e il board di Zurich si riunisce l’11 febbraio per decidere il nuovo Ceo) la Borsa ha nuovamente indebolito Generali. Ma non ci ha smosso dai nostri dubbi. Ed è stato proprio FT a mantenerceli saldi: perché alla fine è vero che dei tre anni di Greco a Trieste si ricordano principalmente quelle due dismissioni e il loro esito, la riduzione delle Generali – un tempo competitor reale di giganti europei come Axa e Allianz – a istituzione regionale. Pochi, invece, hanno dubitato da subito che il mandato di Greco fosse in realtà proprio tenere la compagnia in onesta linea di galleggiamento, alleggerendola delle partecipazioni (Rcs, Telco, Pirelli) divenute obsolete con la dissoluzione del “sistema Mediobanca”. Un triennio di decantazione dopo un lungo e sanguinoso decennio iniziato con la cacciata di Vincenzo Maranghi da Mediobanca, proseguito con la lunga permanenza fra Milano e Trieste di Cesare Geronzi e infine concluso con la giubilazione di Giovanni Perissinotto e dell’intero management storico, di scuola interna.
Se Greco non ha distrutto le Generali, ma le ha fatte sopravvivere durante tre anni particolarmente turbolenti per la finanza internzionale e i mercati globali, di questo è forse giusto che gli azionisti lo ringrazino (anche se le cifre del listino non parlano del tutto a suo favore). Ma non sorprende che, alla fine, non lo abbiano trattenuto e il manager si sia risolto a tornare a Zurich. Il destino delle Generali, abbiamo scritto tre settimane fa, è oggettivamente più importante della carriera del suo Ceo. E anche della carriera di chi verrà dopo Greco: che senza un progetto strategico difficilmente potrà ottenere la sufficienza comunque strappata dall’amministratore delegato napoletano. Sul Sussidiario abbiamo già fatto a tempo a ipotizzare il recupero di una vecchia idea: riorganizzare assieme UniCredit, Mediobanca e Generali. Ma ne attendiamo con curiosità di nuove.