Il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, reduce dalla maratona di Bruxelles sulla bad bank italiana, ha convocato ieri i due amministratori delegati di Popolare di Milano e Ubi – entrambe quotate – per sondare (premere) riguardo una possibile aggregazione finalizzata a un intervento di stabilizzazione in Mps. La Borsa non sembra aver gradito molto né la prima notizia, né la seconda. Ha regalato un +1% al Monte (l’unico gruppo che quasi certamente utilizzerà le garanzie statali per smaltire le sofferenze) e ha invece castigato le grandi Popolari; Bpm e Ubi (candidate al ruolo di “cavaliere bianco” per Siena), ma anche il Banco Popolare, che fino a qualche giorno fa sembrava vicinissimo a una fusione con la Milano.



Il confronto fra mercato e “Stato” – cioè fra Borse e nuove spinte al dirigismo – è al centro di una settimana cruciale per il riassetto bancario in Italia. Lunedì, in margine alla visita del leader iraniano Rohani, il premier Matteo Renzi ha trovato il tempo di andare in pressing sulle banche italiane, invitandole perentoriamente ad aggregarsi. Dell’altroieri sera è stato il (faticoso) accordo Italia-Ue sulle garanzie pubbliche per i risanamenti dei bilanci bancari. Ma di banche si è parlato anche ieri in Senato, dove il premier personalmente ha dovuto difendersi da due mozioni di sfiducia (centrodestra e M5S) sui presunti conflitti d’interesse nel dissesto di Banca Etruria. Un passaggio parlamentare di rilievo politico: cementato fra l’altro da un colloquio fra Renzi e il sindaco di Verona Flavio Tosi (leader ex leghista della piccola formazione centrista Fare), che a Palazzo Chigi ha discusso anche di Popolari e Fondazioni del Nordest (Vicenza e Veneto banca stanno affrontando difficili ricapitalizzazioni, Cariverona è irrequieto socio strategico di UniCredit).



Oggi, a ogni buon conto, sarà il giorno di un Consiglio dei ministri “all banks”. Non vi saranno tutti i provvedimenti attesi, ma è regolarmente in agenda la riforma del Credito cooperativo, dopo una lunga gestazione. Il decreto più importante è da settimane sbandierato in anticipo da Renzi come segnale di una svolta-riscatto del sistema creditizio domestico. Ma il nuovo gruppo unico che le 365 Bcc italiane si sono impegnate a costruire si annuncia effettivamente come una nuova istituzione-Paese.

Il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, ha intanto annunciato che ci vorrà ancora qualche giorno per il decreto sui rimborsi ai risparmiatori “traditi” dai dissesti di Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti (a proposito: il Fondo di risoluzione e il presidente delle quattro “nuove banche” Roberto Nicastro, stanno accelerando al massimo le rivendite: a gruppi italiani, europei o fondi globali di private equity). Ma sarà a base di banche anche il menu politico-mediatico del fine settimana.



Al convegno Forex, tradizionale faccia a faccia annuale fra il governatore della Banca d’Italia e i banchieri, Ignazio Visco farà un punto della situazione pubblico dopo settimane di forti tensioni seguite alle quattro risoluzioni di fine novembre. In realtà, la rotta è già stata indicata una settimana fa da Mario Draghi, che in margine al primo consiglio Bce dell’anno è parso offrire qualche protezione alle banche italiane sotto forte pressione sia dalla stessa vigilanza Bce, sia dalle Borse. Ma è parso subito evidente a tutti che lo “scudo Draghi” (stavolta sul settore bancario e non sul debito pubblico) sarà di durata limitata e soprattutto sarà subordinato a effettivi colpi di reni da parte delle banche italiane.

Per questo non ha stupito la convocazione al Tesoro dei vertici di Bpm e Ubi: le fusioni bancarie – soprattutto fra Popolari a un anno dal varo della riforma – e la messa in sicurezza di Mps non possono più attendere. Senza contare gli altri dossier di tutte le dimensioni e temperature. Fra questi, non va certo dimenticato, quello della più grande banca del paese: UniCredit ancora a metà estate era abbondantemente sopra i 6 euro in Borsa, ieri ha chiuso a 3,7, due mesi dopo la presentazione di un nuovo piano industriale.