Una specie di “unione civile” forzosa: è quella che ha proposto l’altro giorno a Victor Massiah, amministratore delegato di Ubi Banca, e a Giuseppe Castagna, stesso incarico alla Banca popolare di Milano, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan appena rientrato da Bruxelles, dopo aver firmato l’accordicchio sulla bad bank con la commissaria per la concorrenza Margrethe Vestager. Qualche giornale ha riportato l’indiscrezione, come se niente fosse. Nessuna smentita.
In realtà è una notizia-bomba. Comporta una serie di implicazioni sconcertanti. La prima: due tra le banche più sane (o meno ammalate) del sistema vengono richieste di svenarsi per salvarne una terza. L’Ubi ha un “core tier 1” (il parametro sulla solidità patrimoniale di una banca) di 12,9, la Bpm di 11,4. Il Montepaschi è al 10,7 ma ha una grossa incognita sulle spalle, costituita dai 23 miliardi di sofferenze ancora stivati nei suoi forzieri. La fusione di cui dunque Ubi e Bpm stanno discutendo da mesi, e che potrebbe far nascere una banca potenzialmente molto forte, andrebbe totalmente ripensata, e su parametri ben più faticosi.
La nuova gestione del Monte è pilotata da uno dei banchieri italiani più bravi e seri, Fabrizio Viola, ma per i miracoli non è ancora attrezzata. La gestione ordinaria funziona, anche assai bene, ma digerire almeno 12 miliardi di perdite sui 23 di sofferenze a bilancio (e speriamo che non ce ne siano altre) sarebbe difficile perfino per uno struzzo. Di qui la necessità – ovvero, la pretesa – di Padoan di esercitare una forte “moral suasion” sulle due banche promesse spose, che con un patrimonio in relativo esubero rispetto ai “paletti” delle Bce e con un tasso di sofferenze meno micidiale dovrebbero, secondo il ministro, offrire il loro obolo economico a vantaggio del Monte.
Tutto si tiene. Impotenti in Europa – nonostante la “faccia feroce” di Renzi con Juncker e la Merkel – i governanti italiani non sono riusciti a ottenere da Bruxelles nulla di minimamente simile alla scandalosa bonanza che tra 2008 e 2009 tutti i governi europei, a cominciare dalla Germania, elargirono alle loro banche fallite per estrarle fuori dalla crisi dei derivati. Solo lo Stato tedesco, almeno 90 miliardi. Finora, l’Italia ha versato nelle sue banche decotte 8 miliardi, peraltro da rimborsare a caro tasso. Ma niente da fare: deboli come siamo in Europa, abbiamo ottenuto solo la luce verde per una bad bank che non darà nessun vero vantaggio alle banche malate per la ragione pretestuosa di non elargire aiuti di Stato, cioè appunto quelli dati da tutti gli altri Paesi alle loro banche appena sei anni fa.
E adesso il faticoso e complesso percorso di consolidamento delle banche medie italiane, peraltro imposto forzosamente dalla riforma delle banche popolari introdotta per decreto dal governo, viene intercettato e piegato verso interessi non di mercato dall’autorità politica. A fin di bene? Si fa per dire: il Monte merita un aiuto, e del resto la sua sopravvivenza è interesse del Paese, ma non a costo di zavorrare altre banche sane.