Saldi 2016 al via da oggi, 5 gennaio 2016 in tutte le Regioni italiane, con la sola eccezione di Basilicata, Campania e Sicilia dove sono iniziati il 2 gennaio. Quest’anno la Conferenza delle Regioni ha deciso l’inizio unificato dei saldi a livello nazionale. In ciascun Paese europeo il rito collettivo dei saldi si svolge in date molto diverse tra loro. A Londra infatti sono già iniziati il 26 dicembre e a Madrid sono partiti dall’1 gennaio. A Parigi il via è previsto invece per il 6 gennaio, un giorno dopo rispetto all’Italia, e a Barcellona per il 7 gennaio. A Berlino si dovrà aspettare addirittura il 25 gennaio, e i saldi dureranno per sole due settimane. Abbiamo chiesto un commento a Renato Borghi, presidente di FederModa Italia e Vicepresidente di Confcommercio.



Che cosa ne pensa della scelta di iniziare i saldi il 5 gennaio? Da un punto di vista climatico e meteorologico, in Italia la stagione invernale di fatto deve ancora iniziare. La data del 5 gennaio quindi non è congrua. FederModa vorrebbe farla posticipare almeno a fine gennaio.

A partire da quale mese i consumatori comprano i capi invernali? Negli ultimi anni abbiamo sempre assistito a una situazione climatica che ha portato i consumatori a posticipare gli acquisti dei capi più pesanti come capispalla, abiti e cappotti, ma anche le calzature con il “carro armato”. E questo nonostante i commercianti facciano gli ordini otto mesi prima e gli ultimi capi invernali ci siano consegnati a metà novembre.



Quali sono le conseguenze sui saldi? Ci troviamo con un inizio dei saldi oggettivamente troppo a ridosso del Natale, tale per cui i consumatori aspettano a comprare e quindi i nostri negozi non riescono più ad avere la marginalità per rimanere in piedi. Proprio per questo abbiamo chiesto alla Conferenza delle Regioni di posticipare i saldi 2017 per andare incontro alle esigenze del commercio multimarca di qualità.

Per tornare ai saldi invernali 2016, lei che cosa si aspetta? Speriamo che ci siano ancora tanti negozi con le vetrine accese, anziché assistere come purtroppo accade ai nostri centri che vanno depauperandosi con la chiusura di molti punti vendita. I saldi rappresentano ancora un rito collettivo di straordinaria capacità attrattiva. Ciò vale non solo nei confronti dei consumatori italiani, ma anche degli stranieri che raggiungono le nostre città appositamente per accedere ai saldi nel Made in Italy di qualità venduto sapientemente dai nostri negozi.



Quali opportunità e rischi vede per i saldi in arrivo?

Abbiamo ancora tanta merce nei nostri negozi. Questo va bene per il consumatore che ha una vastità di assortimento da cui scegliere, e che quindi si può accaparrare un prodotto di qualità a un prezzo decisamente inferiore rispetto a quello di listino. Purtroppo però va un po’ meno bene per i nostri commercianti. Il mio auspicio è che i negozi possano aumentare le loro vendite, anche se con marginalità inferiori, e che gli acquirenti possano approfittare di questi saldi per andare a caccia di occasioni.

 

C’è qualche consiglio che si sente di dare ai consumatori?

Consiglio loro di tenere presente che è materialmente impossibile che un commerciante possa vendere a un prezzo molto ribassato un prodotto di grande qualità. Del resto i consumatori sono attenti e informati, perché guardano alle vetrine e ai prodotti in negozio prima dei saldi, in modo da fare la scelta migliore e più oculata.

 

Quale percentuale di sconto inizia a essere sospetta?

Sicuramente dal 70% in avanti. Un negozio può fare uno sconto del 70% solo per gli ultimissimi capi a fine stagione. Già con il 50% di sconto i negozi fanno fatica ad avere quella marginalità tale che permette loro di stare aperti. Devono infatti pagare le tasse, i dipendenti, le assicurazioni, le imposte locali, il riscaldamento, le luci, le vetrine, la pulizia. Ci sono tantissimi fattori che incidono sul presupposto che il negozio possa continuare a rimanere aperto e a fornire servizi di qualità. Tra questi ci sono l’affitto dei locali e il costo del personale, fino alle tasse ingenti sia nazionali che locali.

 

(Pietro Vernizzi)