L’Istat ha comunicato che l’inflazione ha raggiunto il picco dello 0,1%! Già, c’è da essere sconfortati per la degenerazione terminologica che la retorica mainstream ha provocato. Venti anni or sono si sarebbero chiamate le cose con il loro nome scientificamente fondato, ossia si sarebbe parlato di perdurare della deflazione, così come in effetti accade. Del resto non si può a ogni piè sospinto glorificare la globalizzazione e poi misconoscerne il punto archetipale, ossia l’interdipendenza macroeconomica per cui diviene assai difficile sostenere che esistano ancora economie nazionali, almeno come quelle che avevamo imparato a conoscere leggendo Friedrich List e gli economisti della scuola germanica e del socialismo della cattedra.



Crolla il prezzo? del petrolio, crollano le borse mondiali sotto lo schianto di quella cinese. Certo, lì si realizza il sogno d’ogni conservatore, ossia si sospendono le contrattazioni, si arrestano un po’ di imprenditori? e di allibratori, e nel mentre si continua a chiedere di essere ammessi alla categoria di “nazione di mercato”! Tutto ha dell’incredibile! Chi avrebbe mai pensato a una sconfessione così prepotente delle panzane sul mercato autoregolato sui segnali dei prezzi, ecc.?



Nel mentre l’Europa, da cui dovevamo essere educati e corretti dai nostri endemici mali tipici delle folcloriche popolazioni del Sud Europa – secondo i vari Ciampi, Padoa Schioppa, Draghi e via dicendo -, anch’essa sprofonda nella deflazione più nera. Ma quell’educazione che ci doveva essere impartita dall’alto del potere è venuta eccome! Eccola: con la deflazione scendono i salari o crescono così poco, ma pur sempre più della deflazione (vivaddio i lavoratori nutrirsi debbono per riprodursi, perché se muoiono di fame il plusvalore non si realizza e i capitalisti soffrono, ma ciò i capitalisti spesso neppure lo capiscono perché hanno l’acqua alla gola). Infatti, con la deflazione i prezzi scendono, i margini si riducono, le imprese chiudono o sono preda di coloro di cui un tempo erano fornitrici e di cui oggi sono segmenti proprietari. È quello che capita grazie al dominio tedesco, che importa beni per quattro soldi costringendo al gelo le domande interne europee ed esporta così con lauti margini, grazie, per carità, a una buona produttività del lavoro (e a un costo del lavoro sempre più basso, come sanno molto bene sindacati e lavoratori tedeschi, ma di ciò non parla nessuno!).



Ma attenti, si avvicina un tifone, ché la globalizzazione della deflazione ancora non l’abbiamo provata, e chi l’ha studiata nella storia sa che i suoi effetti sono terribili. Gli Usa non bastano più! Anche loro ormai sono a rischio, nonostante la bolla speculativa in parte benefica che hanno messo in moto per spingere la carretta dell’economia nazionale. Meglio di nulla, ma i pericoli crescono.

Nel mentre si frantuma il sogno europeo chiudendo frontiere e scoprendo che non si scherza con le povere vittime della guerra e della povertà. Ma la Cina fa scuola: se i mercati – anche quello mondiale del lavoro (perché questo sono i flussi migratori) – non funzionano, si ricorre alla forza, alla polizia di frontiera.

Deflazione da stagnazione, deflazione che nega la misericordia. Dove sono i cantori delle magnifiche sorti progressive? Dovrebbero star tappati in casa, invece comandano e decidono e i rottamati tra di loro non esistono: anzi, tengono banco! I pochi saggi che ancora sopravvivono… lo fanno tra le imminenti macerie, come insegna il capolavoro di Luca Doninelli “Le cose semplici”, edito da Bompiani, che consiglio a tutti di leggere per comprendere ciò a cui andiamo incontro…