Oggi proviamo a sfatare un paio di miti che stanno circolando da qualche tempo anche sulla stampa cosiddetta autorevole: ovvero, il fatto che il Venezuela sia stato il mercato azionario che ha garantito returns migliori lo scorso anno e che la Grecia sia ormai immunizzata da un ritorno della crisi. Dunque, partiamo dal primo. Uno dei refrain classici riguardo l’opportunità di comprare titoli azionari è che questi preservano il potere di acquisto e aggiungono valore anche in condizioni monetarie estreme come l’iperinflazione. In altre parole, su basi relative, le equities locali quando sono denominate in una valuta stabile incrementeranno comunque il valore anche se la moneta locale si schianta al suolo.



I fautori di questa dottrina utilizzano quel che vedere nel primo grafico a fondo pagina come prova a loro favore, ovvero il mercato azionario durante la Repubblica di Weimar, il quale nonostante il marco perse tutto il suo valore, in termini di denominazione in dollari crebbe in maniera parabolica. Bene, oggi abbiamo un esempio che è comparabile, visto che stando alle ultime valutazioni dal Troubled Currencies Project l’inflazione su base annua in Venezuela è a un pelo dalla sobria percentuale del 400%.



La tabella a fondo pagina fa riferimento all’articolo pubblicato la scorsa settimana dal quotidiano economico-finanziario tedesco Handelsblatt (quello che invitava tutti a comprare bond greci, tanto per farvi capire cosa è ritenuto autorevole nel campo dei media europei), in base al quale il Venezuela era stato il miglior investimento al mondo nell’anno appena conclusosi. E in effetti il secondo grafico ci mostra come il mercato di Caracas sia cresciuto di quattro volte nel 2015. Peccato che si sia una piccola problematica che i colleghi autorevoli tedeschi non hanno preso in considerazione: ovvero che quel dato vale se il mercato azionario venezuelano viene denominato in tasso valutario di cambio ufficiale, cioè quello che non ha alcun senso economico reale. Per avere il quadro reale, dobbiamo utilizzare il tasso di cambio al mercato nero, calcolato quotidianamente da DolarTodat, il quale è in area 833, un po’ differente dal tasso ufficiale di 200.



E cosa accade comparando le performance della Borsa di Caracas utilizzando il tasso ufficiale e quello reale di cambio? Ce lo dice bene il terzo grafico, con il primo rappresentato dalla linea verde e il secondo da quella blu. Dunque, hanno ragione ad Handelsblatt oppure hanno sparato un’idiozia siderale, parlando di mercato venezuelano come miglior investimento del 2015? La seconda, visto che la crescita 4x di quella piazza è tale solo prendendo come base di denominazione valutaria il tasso ufficiale, totalmente incoerente con la realtà, mentre utilizzando il tasso reale chi ha investito a Caracas lo scorso anno ha perso un sobrio 20% del valore. Certo, calcolando che in dollari il petrolio ha perso il 30% lo scorso anno, non è l’investimento peggiore in assoluto, ma resta serenamente nella top five delle fregature globali a livello finanziario.

E veniamo all’altro mito, quello della Grecia stabile. Certo, alcuni indicatori propendono a favore della tesi degli ottimisti a oltranza, ad esempio il mercato obbligazionario sovrano. Dopo aver passato un anno sulle montagne russe, i rendimenti del decennale ellenico sono passati da un massimo di quasi il 20% nel mese di luglio, quando i timori di un’uscita della zona euro hanno raggiunto il culmine durante i colloqui tra il nuovo governo a guida Syriza e i creditori internazionali, per poi precipitare al 7% un mese fa. Oggi i rendimenti veleggiano “tranquilli” all’8,27%, più di 100 punti base inferiori rispetto alla fine del 2014. Ma la tregua è solo apparente: sotto la cenere cova infatti ancora il problema del suo enorme debito, il quale nel 2019 potrebbe raggiungere il 186% del Pil.

La partita su come riportare in carreggiata la Grecia è di nuovo nelle mani del Fondo monetario internazionale, il quale sulle basi delle verifiche riguardo le riforme greche approvate entro il mese in corso, finalizzerà la sua posizione dopo aver analizzato la sostenibilità del debito. Insomma, il Fmi ancora nicchia sulla sua partecipazione al terzo piano di salvataggio stipulato la scorsa estate. Il Fondo monetario vuole infatti ridurre il debito prima di concedere nuovi prestiti (ci sono ancora 28 miliardi di euro di programmi di prestiti in scadenza a marzo anche se il Fmi non ha più rilasciato soldi da giugno 2014), mentre l’Ue vorrebbe allungare i termini e ridurre gli interessi (al massimo al 15% del Pil) o concedere periodi di grazia, ma senza ridurre il debito per evitare precedenti pericolosi.

In mezzo c’è però Alexis Tsipras, il quale da un lato spera di poter tornare a fine 2016 sul mercato dei capitali, come ha previsto il ministro delle Finanze Euclid Tsakalotos, per poter rientrare nel programma di acquisto della Bce e dall’altro vorrebbe eliminare entro il prossimo marzo i controlli di capitale sulle banche che sono ancora in vigore dal giugno scorso. Ed ecco il nodo di cui nessuno vi parla. Perché se da un lato le banche greche hanno necessità di ricapitalizzazione per 15 miliardi di euro, trovabili solo attraverso il terzo salvataggio e l’adesione del Fmi, dall’altro i greci non si fidano più né del governo, né tantomeno delle banche e dei banchieri. Il grafico a fondo pagina ci mostra infatti come la Grecia potrebbe tornare ad alimentare l’instabilità anche in Europa, visto che gli ultimi dati della Banca centrale ellenica parlano di continui outflows dai depositi bancari nel mese di novembre. I depositi di cittadini e imprese presso le banche greche sono oggi a 120,9 miliardi di euro, il minimo da 12 anni: di fatto, negli ultimi 12 mesi sono persi oltre 43 miliardi di euro o il 26,4% de depositi totali! Insomma, i soldi sono finiti o all’estero o sotto i materassi ma, nonostante i controlli, sono certamente usciti dai conti correnti e dai conti di deposito.

 

Inoltre, sempre la Banca centrale greca ha fatto notare come nel mese di novembre il ritmo di deleverage del settore privato sia aumentato, con i bilanci dei prestiti in essere in calo del 2,2% su base annua: su dati della Pantelakis Securities, possiamo dire che la contrazione del credito è tornata in grande stile a luglio e agosto, è rallentata in settembre per poi riprendere ancora forte spinta in ottobre e novembre. Immaginate cosa potrebbe accadere da qui a un mese se si dovesse arrivare a un muro contro muro, l’ennesimo, fra governo greco, creditori e istituzioni internazionali: un credit crunch in grado di soffocare nella culla anche il più remoto refolo di crescita. E non stupisce che i cittadini abbiano paura per i loro risparmi, visto che una delle precondizioni affinché Atene ottenga lo sblocco della prossima tranche di “aiuti” è la riforma del sistema pensionistico, anche attraverso tagli sostanziali e il Fmi ritiene questa scelta fondamentale prima di attivare i colloqui sull’eventuale taglio del debito greco.

Tsipras a parole fa il duro, ma sa che uscirebbe con le ossa rotte da uno scontro frontale e domenica è arrivata la conferma che il suo essere anatra zoppa per la mancanza di fiducia del popolo greco sta facendo armare i cannoni dei suoi detrattori. In un articolo pubblicato dal quotidiano Kathimerini, infatti, il governatore della Banca centrale greca, Yannis Stournaras, ha sottolineato l’importanza che il Parlamento greco dia corso alle riforme concordate con i creditori nell’ambito del piano di salvataggio dello scorso agosto, soprattutto riguardo a sistema pensionistico e fiscale, mettendo in guardia dal ritorno di un periodo di possibile immobilismo e ritardo.

Sempre per Yannis Stournaras, il quale è stato ministro delle Finanze dal luglio 2012 al giugno 2014, se non si completerà la review con i creditori entro le prossime settimane, potrebbe innescarsi una nuova esplosione di instabilità «alla quale la Grecia quasi sicuramente non sopravviverebbe. Un potenziale fallimento nel completamento della review avrebbe un effetto destabilizzante, riportandoci alla mente le esperienze negative della prima metà del 2015». Inoltre, il raggiungimento di un accordo «è l’elemento chiave per il ritorno dei depositi da parte dei cittadini nel sistema bancario greco e l’inizio di una serie di azioni positive per il Paese».

Per ora, la popolazione resta sulle sue posizioni di sfiducia e il governo si ritrova con una patata bollente in mano da gestire al meglio e nell’arco delle prossime 4-5 settimane: non vorrei sembrare pessimista, ma, come ogni anno dal 2010 in poi, anche nel 2016 la Grecia pare destinata a finire sulle prime pagine dei quotidiani e nei titoli dei tg. Ormai è quasi un rituale, un mantra che è anche la dimostrazione plastica della stupidità e dell’inutilità della cosiddetta Europa. 

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