La “risoluzione” di Banca Etruria e delle tre “sorelle” commissariate è stata decisa nove giorni dopo la tragica sera del Bataclan a Parigi. Sul Sussidiario, da subito, abbiamo segnalato il rischio di uno shock non troppo diverso nel tessuto sociale italiano. Ieri, quando la Francia ha celebrato l’anniversario dell’attentato a Charlie Hebdo, una bomba artigianale è stata ritrovata davanti a una filiale di Banca Etruria in provincia di Perugia. Chissà se anche lì hanno visto su qualche sito la foto del ministro Maria Elena Boschi a cena in una nuova “risotteria” italiana di Manhattan la sera di San Silvestro.



Chissà se qualcuno – in Italia verso il risparmio tradito come in Francia verso la minaccia jihadista – ha intenzione di affrontare politicamente i problemi reali, evitando di calciare in tribuna il solito pallone del populismo. O peggio: come ha fatto ieri Alberto Alesina sul Corriere della Sera. 

La proposta di rilasciare un “patentino di educazione finanziaria” ai risparmiatori che desiderino investire allo sportello bancario pare chiude il cerchio di altre opinioni surreali registrate negli ultimi giorni. La più autenticamente demagogica – ma forse soltanto la più dilettantesca -è e resta quella del governo Renzi, che insiste nel voler rimborsare “caso per caso” non meglio definiti risparmiatori “che hanno perso molto” nei bond subordinati bancari, secondo standard “umanitari” da definire presso all’Autorità anticorruzione: un’operazione che rischia di alzare il livello dello scontro con l’Ue, di portare la destabilizzazione anche nel campo istituzionale e di creare un precedente politico-legale pericolosissimo.



Anche la proposta di un Esperto Estero – in luogo di una commissione parlamentare d’inchiesta – per valutare l’operato della Vigilanza Bankitalia ha raggiunto un elevato grado di naiveté, quella di istituire un “patentino del risparmiatore” sembra voler fare a gara; non fosse che Alesina – da Harvard – sono due decenni che decanta le sorti progressive del mercato che si “autoregola”. Il suo primato sul cosiddetto “Stato” è appunto l’assenza di ogni muro o intermediazione burocratica al gioco dell’incontro-scontro fra domanda e offerta: anche la maggiore o minore cultura economico-finanziaria entra nel gioco competitivo. È su questo assunto che da almeno un quarto di secolo i commentatori liberisti conducono una lotta ideologica contro lobby assortite, ordini professionali, valore legale dei titoli di studio, eccetera.



Non è peraltro escluso che Alesina abbia in mente qualcosa di diverso di un bollino rovescio rispetto ai “Pattichiari” tentati da Abi dopo il crac Parmalat. Qualcosa che alla fine riporti all’archetipo oligopolistico e autoreferenziale delle tre maxi-agenzie di rating globali (quelle che davano ancora voti altissimi all’affidabilità finanziaria di Lehman Brothers sull’orlo del fallimento); o delle società di revisione e certificazione contabile (come la storica Arthur Andersen, scandalosamente dissoltasi nel crack Enron).

Ma il format forse più caro agli economisti italiani d’America è quello dei network accademici globali che decidono le carriere assegnando presunte valutazioni oggettive alle pubblicazioni secondo criteri sostanzialmente cooptativi decisi dagli stessi network. Non è un caso che Alesina citi subito il nome di un’economista italiana, Annamaria Lusardi, quasi una pre-candidatura a un’ennesima Autorità. Se Raffaele Cantone deciderà chi potrà uscire vivo dalla banca vice-presieduta dal padre del ministro Boschi, si sente effettivamente il bisogno di un nuovo Esperto che decida chi potrà ancora entrare nelle banche italiane, depositandovi i suoi risparmi (l’alternativa è ovviamente affidarli a una banca estera).

Purtroppo i veri esperti di cui sembra aver crescente necessità il sistema bancario italiano sono gli artificieri.

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