“Non solo, ma anche”: in puro stile veltroniano, il consiglio d’amministrazione del Monte dei Paschi di Siena ha voluto mandare avanti il “piano Jp Morgan” – peraltro, a tutt’oggi, tale solo nei desiderata del suo vero sponsor, il governo, visto che non ci sono impegni di sorta ad attuarlo da parte della banca Usa – senza “chiudere le porte” al piano Passera. Sarà stato poco, ma lo spiraglietto, che rimette in corsa un’alternativa meno fumosa, ha ridato fiato al titolo del Monte dei Paschi in Borsa, salito del 12%: è anche vero però che la banca senese vale talmente poco che prima di parlare di rimbalzo della quotazione bisogna attendere che salga dell’80%, e non del 12. Solo allora sarà tornata ai livelli ai quali il premier Renzi disse che sarebbe stata un affare comprarla…
Ma ci sono due ragioni precise per le quali la schiarita apparente di ieri non va considerata tale: una interna alla banca e l’altra “di sistema”. Si parta da quest’ultima: è difficile rimettere il dentifricio nel tubetto, una volta che si è commesso l’errore di farlo uscir fuori. Lo schiaffo alla trasparenza e alla governance è stato dato all’unisono da Renzi e Padoan (che brutto mestiere, per quest’ultimo, dover portare gli ordini di qualcuno così meno competente!) quando hanno dimissionato l’ex amministratore delegato del Monte Fabrizio Viola con una telefonata al presidente Tononi, il quale ha dato esecuzione salvo poi pentirsi e dimettersi a sua volta: tanto valeva farsi cacciare, sarebbe stato più eroico. Ma tant’è. Brutto schiaffo davvero, e non perché sia accertato che Viola era meglio dell’attuale nuovo capo azienda Marco Morelli, ma perché quest’ultimo è stato messo lì per volere degli americani che, si ricordi bene, stanno solo “valutando se” investire nel Montepaschi e in cambio di una montagna di provvigioni nell’ordine del miliardo di euro. Un po’ come se, per invogliarci a comprare un paio di scarpe, il negoziante ci permettesse di camminarci sopra per tre mesi, potendole poi restituire. Un “soddisfatti o rimborsati” alquanto generoso.
Anche se il Pian-Passera 2.0 si rivelasse macroscopicamente migliore di quello JpMorgan-Mediobanca e anche se, in scienza e coscienza, Morelli ne rilevasse questa preferibilità e la testimoniasse davanti al consiglio (sarebbe un eroe!) e per quanto questo nuovo piano Passera pare non comportare l’insediamento del suo autore proprio sulla poltrona dell’amministratore delegato (basterebbe una presidenza, anche se dove si piazza uno come lui, finisce comunque col comandare) è del tutto inverosimile che, avendo oggi in mano le leve della gestione, Morelli possa davvero compiere questo gesto nobile e disinteressato di avallare una soluzione opposta a quella che lo ha condotto lì.
Intendiamoci: né JpMorgan, né gli investitori Usa portati da Passera sono animati da filantropia, entrambi vogliono solo guadagnare dall’avventura senese, gli affari sono affari. Se gli amici di Passera convincono di più il mercato è solo perché, arrivando secondi, devono essere più convincenti e convenienti “per forza”… E poi il profilo umano e la storia professionale di Passera, per quanti lo stimano – e chi scrive tra essi – è convincente nell’accreditare il fatto che il banchiere sia meritoriamente mosso da quell’ansia di “give back” (restituire al Paese…) che lo anima dal momento della sua sfortunata discesa in politica… ma queste sono opinioni. Resta il fatto che non si può chiedere ai capponi di votare democraticamente per l’anticipo del Natale. Ed è quindi oltremodo improbabile che un consiglio d’amministrazione e un amministratore delegato messi lì da un governo che “vuole JpMorgan” si diano la zappa sui piedi.
Poi c’è l’altra ragione di scetticismo, rispetto al buon esito della “aperturina” senese. Perché il Monte nicchia rispetto alla richiesta di Passera di fare la “due diligence” sui conti della banca? Nelle condizioni penose in cui quell’azienda versa, la “due diligence” è il minimo che un compratore sincero possa voler fare prima di impegnarsi. Quindi non restano che tre ipotesi.
1) Morelli & C si svegliano e l’autorizzano, e allora tutto bene, si vedrà poi l’esito dei controlli.
2) Morelli & C. rifiutano la due diligence perché, dall’interno, hanno visto che i conti sono troppo più brutti di quanto appaiano dall’esterno, ma in tal caso vuol dire che la frittata è fatta e bruciata, e per gli uomini di JpMorgan non resta che attendere il modo per dirlo al mercato e al sistema senza prenderne colpa, ma allora niente di meglio che scaricare su Passera il compito di stendere il certificato di morte del Monte. Perché non farlo?
3) Morelli & C. sanno che, in realtà, a esaminarle dall’interno le condizioni del Monte sono migliori di quelle esternamente note. E non vogliono farlo sapere anche a Passera, per non rafforzarlo nella determinazione a procedere e non dargli modo di dirlo a tutti, che il Monte è un affare!
Ragioniamo: Passera – come fa chiunque abbia “intenzione serie” – chiede una “due diligence” preventiva sui conti del Monte, cioè la libertà di analizzarli in proprio prima di investirci. Circostanza che sembra ovvia anche alla casalinga di Voghera, eppure finora non rivendicata da JpMorgan. E la banca, guidata dall’uomo di JpMorgan, per ora nicchia, non ha accettato la richiesta. Perché? Cos’ha da nascondere?
La logica qui ci soccorre senza se e senza ma. Se voglio vendere qualcosa, ne decanto le qualità; se non voglio venderla ma temo di essere costretto a farlo da qualcuno o qualcosa al di sopra di me, cerco di dissuadere il potenziale compratore enfatizzando i difetti della merce e nascondendogliene i pregi. Se dunque oggi il Monte nega la due diligence a chi, dall’esterno, non ha gli strumenti necessari per effettuare direttamente le sue valutazioni è forse perché la banca non è conciata così male come si vuol far credere.
Attenzione attenzione: ci sono precisi precedenti. Quando nel ’92 Mediobanca sfilò la Ferruzzi Finanziaria dal controllo della famiglia di Ravenna che la possedeva (e la gestiva disastrosamente male), denunciò un crac da 30 mila miliardi di euro. La storia si è incaricata di dimostrare che però, gestendo bene la vendita di alcuni pezzi pregiati del gruppo e le attività di altri, non solo quel buco fu colmato, ma le banche creditrici guadagnarono cifre colossali. Lo stile di Mediobanca non cambia mai, la vera differenza da allora è che oggi l’istituto gli ordini dal governo li prende e non li dà. Dunque: o il Monte dei Paschi di Siena lascerà fare la due diligence a Passera, o la volontà di confrontare alla pari i due piani, anche al fine di tentare una loro eventuale confluenza, si dimostrerà una mera affermazione teorica, in malafede, e non un riconosciuto e ineludibile metodo gestionale.
Anche perché, attenzione: quando il Monte dei Paschi comprò Antonveneta, madre del maxi buco di cui ancora oggi si scontano vecchi oneri; quando Unicredit comprò Capitalia, i cui “buffi” ancora pesano sui conti, procedettero senza fare la due diligence. Si sono visti i risultati. Vogliamo continuare così? Dice: ma l’Europa porta fretta. La porti anche alla Deutsche Bank, prima di mettere bocca. Già: peccato che questa piccola e ovvia incoerenza, ai signori di Bruxelles, gliela dovrebbe ricordare il governo Renzi, lo stesso che però ha promesso quest’estate a JpMorgan di passargli il controllo del Montepaschi.