Stiamo vivendo con una bomba a mano senza spoletta infilata nella tasca del sistema. E non mi riferisco alla situazione contingente di questo o quel mercato, mi riferisco davvero al sistema finanziario globale. E temo che ormai sia tardi per sgonfiare di significato e importanza quello che potrebbe essere il detonatore della situazione: il referendum costituzionale del 4 dicembre, unito al voto presidenziale in Austria. A certificarlo non è il sottoscritto, ma Axel Weber, ex governatore della Bundesbank, nel suo discorso a latere dell’ultimo meeting del Fmi a Washington.
Oggi Weber è presidente di Ubs e il suo giudizio sull’interventismo monetario delle Banche centrali è impietoso: «Gli Istituti centrali hanno dato vita a enormi interventi sul mercato, potremmo tranquillamente dire che oggi sono la controparte centrale di molti mercati. Di certo, sono l’acquirente di ultima istanza.. Per questo penso che le Banche centrali debbano essere molto attente nel non continuare a produrre distorsioni nei mercati, visto che conoscono questo effetto collaterale. Ma la percezione che l’impatto sottostante della politica monetaria sia maggiore del potenziale effetto collaterale sta cominciando a dimostrarsi fallace anche per molti operatori e questo potrebbe tramutarsi in un test di credibilità molto rischioso».
Insomma, gli acquisti onnivori di bonds e i continui tagli dei tassi non solo rischiano di non essere la risposta, ma potrebbero trasformarsi, di colpo, in una pietra tombale. «Non penso che oggi un singolo trader al mondo possa dirvi con certezza quale sia il prezzo appropriato per comprare un asset, almeno fino a quando l’intervento delle Banche centrali non sarà tolto dal tavolo». E questa questione della price discovery resa impossibile dal diluvio di liquidità che crea condizioni artificiali sui mercati, se ben ricordate, la sto ponendo da mesi e mesi: la gente sta comprando di tutto facendo pessime scelte e questo perché non esiste più percezione di cosa sia giusto e sbagliato, è tutto garantito dal backstop delle Banche centrali. Inoltre, per Weber «molti mercati non sono veramente mercati liberi, questo a causa anche dei pesanti interventi governativi. Inoltre, se guardiamo ai mercati obbligazionari, abbiamo la Bank of Japan, la Fed e la Bce che rispettivamente detengono un terzo, un quinto e un decimo di tutto l’outstanding di debito governativo».
Dopodiché, Weber sgancia la bomba: «Questi mercati così distorti sono sempre più ostaggio di rischi politici. Soltanto una decade fa, gli investitori potevano prezzare gli assets occidentali analizzando le economie sottostanti in base ai fondamentali e il rischio politico era un qualcosa che interessava solo chi investiva nei mercati emergenti. Oggi, invece, chi detiene assets Usa o giapponesi o europei deve ponderare questioni come le seguenti: per quanto le Banche centrali andranno avanti con il Quantitative easing? I governi Usa e britannico stanno diventando sempre meno business friendly? La possibile vittoria di Donald Trump, così come il Brexit, porterà a una nuova era di protezionismo? Molti investitori non sono equipaggiati per analisi di questo tipo, è gente che ha basato la sua carriera sui numeri, non sulla scienza sociale. Stanno affrontando un mondo sempre meno interpretabile».
Insomma, Weber dice una cosa molto semplice ma molto preoccupante: il vero rischio finanziario, oggi, non è quello di cui si tende a discutere. Le banche, infatti, ne verranno fuori, esattamente com’è accaduto nel 2008, ma la minaccia vera è quella di gruppi di investitori che verranno spazzati via da selvaggi scostamenti di prezzo causati da uno shock politico inaspettato, da cambi repentini di politica da parte delle Banche centrali, da bandi commerciali o nuovi dazi, da risultati elettorali o eventi come il Brexit.
Dice Weber: «Gli investitori sono stati spinti su scelte di trading verso le quali hanno poca capacità di gestione rispetto a quanto si ritrovano nel piatto. Oggi come oggi siamo nella condizione di poter vedere spazzata via l’aspettativa di investimento di un anno in un singolo giorno, da una singola mossa di mercato. E questa è una situazione pericolosa perché è senza precedenti». E Weber, oltre a essere stato al centro del sistema finanziario per decadi, non è un allarmista di natura, anzi. E a dirgli man forte ci ha pensato ieri il capo economista della Bce, Otmar Issing, il quale interpellato dal Daily Telegraph ha detto chiaramente che l’intero progetto dell’euro non può più funzionare nella forma attuale, mentre l’interventismo dell’Eurotower sta diventando sempre più pericoloso nella sua estensione.
«Un giorno, l’intero castello di carte collasserà. Il progetto dell’euro è stato tradito dai politici, l’esperimento della moneta unica è andato male fin dall’inizio ed è poi degenerato in un free-for-all fiscale che ancora una volta è stato usato per mascherare patologie cui non si voleva porre rimedio. Realisticamente, ci troviamo in una situazione che equivale a una traversata nel fango, combattiamo e combatteremo passando da una crisi all’altra. È difficile prevedere per quanto continuerà tutto questo, ma è certo che non può essere infinito. Abbiamo già da oggi la certezza che il regime attuale verrà di nuovo messo a dura prova dalla prossima crisi globale, questa volta partendo però con tre criticità in più: maggiore debito, maggiore disoccupazione ed enorme instabilità politica. Ormai viviamo in un mondo in cui l’azzardo morale è imperante e la Commissione europea è soltanto una creatura formata da forze politiche che si sono arrese rispetto al loro compito di rafforzare le regole».
Inoltre, «la Bce ha varcato il Rubicone e ora si trova in una posizione non gestibile, tentando di riconciliare ruoli conflittuali tra loro di regolatore bancario, membro forte della Troika e agente di politica monetaria. La sua stessa integrità finanziaria è sempre maggiormente in discussione». In effetti, la Bce detiene oltre 1 triliardo di euro di controvalore di bond comprati con rendimenti artificialmente bassi o addirittura negativi, un qualcosa che implica perdite notevoli una volta che i tassi di interesse salissero: »Un’uscita dalla politica di Qe è sempre più difficile con il passare dei giorni e le conseguenze possono essere potenzialmente disastrose», chiosa Issing. A detta del quale, «il deterioramento della qualità del collaterale eligibile all’acquisto è un problema grave. La Bce oggi sta comprando bond corporate che sono vicini al rating di credito “spazzatura” e gli haircuts che già implica il mercato possono a malapena conciliarsi con un downgrade di credito di un notch. Il rischio reputazionale implicito ad azioni simili da parte di una Banca centrale era assolutamente impensabile in passato».
Giova ricordare che il professor Issing fu una delle poche voci critiche del primo salvataggio greco del 2010, operazione che definì «niente più che un salvataggio delle banche francesi e tedesche», tanto che a suo modo di vedere la cosa migliore sarebbe stata espellere la Grecia dall’euro, fornendo così un salutare esempio per tutti. Certo, Atene avrebbe poi beneficiato del massimo supporto dall’Ue, ma solo dopo aver ripristinato un tasso di cambio gestibile, ritornando alla dracma. Insomma, una persona raziocinante. E, soprattutto, il capo economista della Bce. Il quale, ci sta dicendo che l’esperimento euro non solo è un fallimento, ma sta per saltare del tutto.
Invece di perdere tempo ad accapigliarci sul bicameralismo paritario o l’eliminazione del Cnel, non sarebbe il caso di attrezzarci con un contingency plan per questa eventualità sempre meno remota?