«L’Italia è un Paese scomodo per l’Unione europea perché la nostra economia rappresenta la seconda potenza manifatturiera dopo la Germania. Esigendo il rispetto di rigorosi parametri di deficit Bruxelles ci tiene per il collo». È il commento di Antonio Maria Rinaldi, professore di Finanza aziendale all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara e alla Link Campus University di Roma. Entro il 27 ottobre arriverà la lettera attraverso cui la Commissione Ue contesta la legge di bilancio 2017. Due i punti sotto accusa: il rapporto deficit/Pil al 2,3% e l’eccessiva presenza di interventi una tantum. Facendosi forte del sostegno di Barack Obama, Matteo Renzi ha subito polemizzato: «Rispettiamo totalmente le regole dell’Unione europea, la procedura d’infrazione la aspettiamo per chi non rispetta le regole sui migranti».



Quanto sono giustificati i rilievi della Commissione Ue all’Italia?

La Commissione Ue guarda più ai provvedimenti strutturali che determinano un flusso costante di entrate, e non a quelli estemporanei inseriti nella legge di bilancio 2017. Visti nell’ottica dell’Unione europea, i rilievi della Commissione sono giusti. Un altro discorso è verificare se questa ottica stessa sia o meno corretta.



Allora perché il governo è incappato in questi ennesimi rilievi?

L’Unione europea fa riferimento a una linea di pensiero piuttosto consolidata, non è una novità. Il problema è che il governo italiano non ne tiene mai conto. Per quanto riguarda le concessioni di sforamento sul rapporto deficit/Pil, quello che conta è il fatto che gli interventi siano strutturali cioè ripetibili ogni anno. Con la legge di bilancio 2017 si propongono invece delle misure spot, cioè riferibili soltanto all’esercizio in corso. La Commissione Ue pone quindi giustamente delle riserve sulla sostenibilità di quel livello di deficit nei prossimi anni.



A questo punto che cosa può fare il governo?

Bisogna prendere il toro per le corna. Il problema della legge di bilancio è che l’Italia non ha più la possibilità di andare a deficit. Ciò lascia aperte solo due possibilità: il taglio della spesa e le tasse.

Lei quale privilegerebbe?

Nessuna delle due. Da tanto tempo siamo già arrivati al limite di intolleranza per entrambi i parametri. Con la spending review più di tanto non si riesce a tagliare, e in un momento di crisi conclamata come quella attuale non è opportuno inasprire ulteriormente le tasse.

Qual è l’origine di tutti questi problemi?

La causa è sempre la stessa: non abbiamo più la sovranità monetaria. Quindi non abbiamo la possibilità di reperire almeno una parte del debito attraverso la monetizzazione, così come avviene in tutti gli altri Paesi del mondo che non fanno parte dell’unione monetaria europea.

Intanto per Renzi la procedura di infrazione dovrebbe riguardare i Paesi dell’Unione europea che non accolgono i migranti. Come valuta la sua posizione?

Di regole nuove da mettere all’interno della costruzione europea ce ne sono a bizzeffe. Renzi cerca di portare acqua al suo mulino, perché vede che l’Italia è stata lasciata sola di fronte all’emergenza migranti. D’altra parte coloro i quali tanti anni fa hanno legato il nostro Paese all’unione monetaria europea avrebbero potuto fare le cose diversamente. Se avessero insistito per inserire nei famosi parametri di Maastricht oltre al rapporto debito pubblico/Pil anche quello debito privato/Pil, a questo punto l’Italia sarebbe sicuramente tra i Paesi più virtuosi.

 

Perché dunque l’Italia finisce sempre sul banco degli imputati?

La scusa che è sempre messa sul tavolo per giustificare il fatto che gli altri Paesi dell’Unione europea possono sforare il rapporto deficit/Pil con molta più facilità rispetto all’Italia è il fatto che noi abbiamo un elevato rapporto debito pubblico/Pil. Gli altri invece, pur avendolo incrementato notevolmente negli ultimi anni, sono a livelli inferiori rispetto a noi. Il vero problema però è un altro: l’Italia è un Paese scomodo per l’Unione europea, perché la nostra economia rappresenta la seconda potenza manifatturiera dopo la Germania. Attraverso il rispetto di rigorosi parametri di deficit, l’Unione Europea ci tiene per il collo.

 

Se il nostro debito privato è più basso degli altri, perché le banche sono affette dai Non Performing Loans o crediti deteriorati?

Nei vari Paesi il debito privato è molto più elevato rispetto al rapporto debito/Pil. Nei momenti di crisi c’è un’osmosi, nel senso che poi il debito privato va a ricadere bene o male sul sistema delle banche. La Germania però è riuscita a trasferire il debito privato sullo Stato, mentre l’Italia lo ha riversato direttamente sui clienti delle banche creando solo ulteriore disagio. Inoltre negli ultimi anni di crisi il debito privato italiano è aumentato. I bassi tassi d’interesse hanno incentivato gli italiani a indebitarsi ancora di più.

 

Che cosa accadrebbe se i tassi ricominciassero a salire?

Questo farebbe aumentare il costo del sostentamento del debito, ma nello stesso tempo anche l’inflazione. Oggi siamo in deflazione, mentre quando il debito diventa inflazionato compensa l’incremento dei tassi come ai tempi della lira.

 

(Pietro Vernizzi)