Se un giorno, malauguratamente, dovessi difendere, mosso da pulsioni di imperscrutabile origine, presumo abissale, l’Unione europea, che peste mi colga, per citare un’antica e sempre efficace imprecazione. Premesso ciò, stavolta posso anche comprendere l’imbarazzo e l’incapacità reale da parte di Juncker di afferrare il cuore del ragionamento di Matteo Renzi.
Dopo l’happening con Obama, scortato dal comico più “in” del ‘900 (ah già, ma siamo in un altro secolo, ops…), capisco anche che il buon Renzi sia un tantino confuso, frastornato, la gloria può dare alla testa. Uno poi rientra in Italia, e che diamine, si trova davanti certe altre realtà e prova un effetto incartamento. Ad esempio, ritrova ancora una volta le culle vuote. Quindi una riduzione del tasso di crescita potenziale, in prospettiva, decisamente elevato. I giovani sono più poveri dei vecchi. Il sistema pensionistico è tecnicamente saltato, perché questa è la realtà, già dichiarata, seppur sommessamente, dall’ex direttore generale dell’Inps, alcuni anni or sono. Saltano i contratti, perfino i call center sono in rivolta.
Ma Renzi è un vero campione di italianità, sa giocarsi bene il suo personalissimo “Made in Italy”, e, campione invitto, segue il metodo di sempre: “E l’Italia giocava alle carte e parlava di calcio nei bar” (Giorgio Gaber). Infine, sfoggia il suo inglese a pronuncia variabile, con sospiro affilato, perché i fiorentini parlano tutti un po’ di testa, come sa chi circola in Toscana, e via andare.
È il regime del “senno del post”. È tutto “post”. Il Parlamento? No, lo vogliamo “post”. La Costituzione? Scherziamo? “Post”, of course. La politica? Bè, qui veramente siamo al grottesco puro, la politica, in questo mondo che cambia, così bello da vivere con gli amici giusti, le banche giuste, i soldi dei contribuenti giusti (a fare da sinecura di un sistema e di un governo che, in un Paese decente, non avrebbe neanche dovuto esser lì), no, giammai! È il tempo della “post-politica”.
Renzi è il post-di-tutto inverato. Mi perdoni il sommo Augusto Del Noce, al quale non piaceva affatto il concetto di “inveramento”, troppo hegelo-marxista, è vero, ma qui ci sta proprio bene. Renzi invera, ossia rende vero, anche ciò che è falso: la dialettica stravince e la retorica, dunque, non può che dominare. Leggere il Cratilo di Platone, per eventuali conferme di ciò.
Ma, Iannuzzi, tutto questo pippone introduttivo (forse) per dire cosa, alla fine? E poi chi sei tu, per dire tutte queste cose? Risposta: oggi nessuno, ieri un appartenente al popolo che aveva la dignità ontologica data dalla sua appartenenza. Ma c’era ancora un Paese, una Nazione, una Comunità di destino. Oggi ci sono Renzi e le banche.
Detto questo, siccome ho la tigna per dire comunque quello che penso, io penso ora una sola cosa, che è diventata un’evidenza e non rappresenta – attenzione! – in alcun modo un punto di debolezza di Renzi, ma è piuttosto il suo punto di forza: il suo “nulla” (Brunetta) o il suo essere “il concentrato del nulla” (Grillo) lo tiene in piedi. Sempre più profondamente mi accorgo di ciò. Non rido (ovviamente), non piango, ma uso la testa e cerco di comprendere, seguendo l’insegnamento di Spinoza, che di casini storici se ne intendeva parecchio.
Se sei, in termini più colti, un occasionalista, come avrebbe detto Carl Schmitt, tu te la giochi sempre alla grande, come vuoi. Parli con un comunista? Diventi un estimatore della lotta di classe. Ti trovi di fronte a Warren Buffet? Evviva il capitalismo vissuto nella sobrietà, altro che squali di Wall Street. Vai da Obama? Avanti tutta con l’atlantismo, vogliamo rinnegare De Gasperi e le nostre tradizioni? E poi, chi mi rimette in sella, dopo quattro anni di fallimenti in Italia? Chiaro il concetto? Con uno così, il voto alle interrogazioni è sempre fra il 7 e il 7 e mezzo. Perfino Scalfari ha elogiato Renzi per la sua performance nel dibattito televisivo con Zagrebelsky.
Come dicevano le vecchie maestre di una volta: il ragazzo piace. Ha il portamento giusto per non scalfire e insieme mostrare un’avanguardismo simile a quell’estremismo che Lenin disprezzava, dichiarandolo “malattia infantile del comunismo. In generale, malattia infantile, direi. Chiudiamola qui: infantilismo. Ma funziona.
In una società senza più radici. Con ragazzotti che seguono l’imprenditore indebitato, ma molto trendy, quarantenni in cerca di successo, anziché il valore (da dare agli altri, prima di tutto), e via discorrendo, Renzi, signori, funziona. Ergo, può anche permettersi di raccontare che “il populismo non nasce per il terrorismo, ma per la crisi economica in Europa. In Francia in questo momento, il rischio è più la mancanza di crescita economica che non la sicurezza rispetto al terrorismo. Il dibattito con i miei colleghi europei non è facile, perché cerco ogni giorno di offrire una strategia diversa, non solo tecnocrazia e tecnicismi. Questa è l’Europa che può combattere il populismo. Se si prosegue senza una strategia per la crescita, sarà chiara la vittoria del populismo. Il populismo gioca con la paura, con la violenza verbale, noi con la speranza e il dialogo. Per questo abbiamo bisogno di un’azione rapida. Dobbiamo portare il cambiamento. Questa è la grande occasione per il dibattito politico di oggi”.
Da notare: “Cerco ogni giorno di offrire una strategia diversa, non solo tecnocrazia e tecnicismi”. Ecco l’occasionalismo in azione: ogni giorno mi invento una maschera e ogni giorno me la gioco. Jung diceva che il gioco sociale era costruito appunto dalle “persone”, nel senso arcaico del termine, e il significato arcaico di “persona” è appunto “maschera”. Ecco dunque il succo di tutta la vicenda: il “senno del post”. Va bene tutto, madama la marchesa. Renzi spara sulla “tecnocrazia”: e lui come ci è arrivato a Palazzo Chigi? Passando attraverso il tanto vituperato voto del “popolo”? No, ovviamente, perché il “popolo” è il soggetto della politica e questo rimanda al diavolo postmoderno, ovvero il “populismo”.
Non se ne esce. Poi arriva Padoan, spara sul contante che salva il “popolo” e siamo al trionfo delle maschere e del “senno del post”. Si chiama nichilismo, signori, benvenuto nel club. Un certo grande uomo, già prima che crollasse il Muro di Berlino, aveva descritto questo stato dell’arte, per così dire, come “Chernobyl spirituale”. E non avevamo, tutto sommato, ancora visto niente, almeno rispetto a oggi.