MPS NEWS Da quando si è saputo che Corrado Passera aveva potenziato e riproposto il suo piano di salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, la banca toscana sventrata dai dalemiani ha recuperato in Borsa il 100% del valore in poche sedute: segno evidente che dopo i tre mesi di melina sprecati da JpMorgan e Mediobanca, la credibilità dell’ex capo di Intesa Sanpaolo ha convinto i mercati. E adesso il board di soldatini paracadutato a Siena da palazzo Chigi, per evidenti ancorché indecifrabili ragioni di lobby, non sa che pesci prendere, strattonato com’è tra l’input della banca d’affari di palazzo Chigi che ha imposto il ricorso al carissimo salvagente degli americani e l’evidenza che condurrebbe a optare per la soluzione autoctona di Passera, o almeno per essa come formula leader, semmai corroborata dal supporto di Jp Morgan.
A quel che se ne sa – e in attesa che l’amministratore delegato del Monte Marco Morelli parli ai mercati dopo la riunione-fiume del consiglio d’amministrazione di ieri – l’istituto si è finalmente mosso nella direzione, che avrebbe dovuto essere in realtà la prima, di varare e realizzare a tappe forzate un nuovo piano industriale. Che aggiungerebbe tra l’altro 1.600 esuberi ai 1.400 già annunciati ma non ancora eseguiti: 3.000 dipendenti in meno e una redditività al 2019 del 13,5% grazie al fatto che, nel frattempo, l’onere dei 27,7 miliardi lordi di sofferenze dovrebbe essere completamente scaricato sulla bad bank.
Nel piano Jp Morgan, come del resto in quello di Passera, occorrerebbe un netto rafforzamento di capitale, che gli americani vogliono fare con 5 miliardi e Passera con circa 3, avendo egli raccolto la disponibilità “a fermo” di investire nella banca di alcuni grandi fondi di private equity, per ironia della sorte anch’essi americani: si parla di Atla, Warburg Pincus, Bc. Disponibilità raccolta, però, a condizione di poter effettuare una due diligence, cioè un esame approfondito dei conti dell’istituto, che per ora il consiglio del Monte non ha autorizzato, forse perché sarebbe difficile effettuarla entro l’anno, mentre appunto entro l’anno si pretende di concludere l’intervento di emergenza previsto dal piano.
Per Passera si profila dunque il rischio di rimanere beffato dalla sua stessa iniziativa: avendola assunta, ha restituito credibiltà a un baraccone sgangherato che stava affondando, ma potrebbe non essere lui a fruire dell’iniezione di fiducia fatta ai mercati, se nel frattempo – e con clamoroso ritardo – la cordata JpMorgan e Mediobanca si fosse resa in grado di produrre a sua volta argomenti e risorse convincenti, sullo schema presentato da Passera a fine luglio.
Illuminante, del resto, il parere che proprio ieri, mentre il consiglio del Montepaschi lavorava, ha reso Ennio Doris, fondatore e presidente di Banca Mediolanum, forse l’unico imprenditore della banca attivo oggi in Italia: “Sì, il Montepaschi è la grande ammalata del settore”, ha detto, “ma si è esagerato. Sicuramente si troverà una soluzione entro l’anno, e anche se dovesse intervenire lo Stato sarei d’accordo. Gli stress test cui la Bce sottopone le banche per certi versi sono anche troppo severi. Non si limitano a testare le difficoltà prospettiche, ma anche il ripetersi delle perdite occorse in precedenza. Pensiamo a quel che è successo proprio al Montepaschi: è passato dal 12,1% di Core Tier1 al 2,2%, con gli stress test, a causa del computo di una valanga di perdite che non si faranno più. Non a caso il programma di Passera ipotizza un intervento da 3,5 miliardi e non più da 5. Certo, si vive un clima di apprensione a mio avviso esagerato. Ma qualunque conseguenza anche per lo Stato di una mancata soluzione sarebbe peggiore di un intervento”.