Nella lettera della Commissione Ue al governo italiano sulla legge di bilancio 2017 c’è la richiesta di ricevere maggiori informazioni, ma nessun rilevo specifico su determinati provvedimenti del nostro esecutivo. La missiva, che porta la firma del vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, osserva che la riduzione del deficit è “ben al di sotto dello 0,6% rispetto al Pil raccomandato dal Consiglio il 12 luglio 2016”. E aggiunge la lettera: “Chiediamo maggiori informazioni su una serie di questioni per stabilire se l’Italia soddisfi le condizioni in base a cui la flessibilità era stata garantita per il 2016”. Ne abbiamo parlato con Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università degli Studi di Torino ed editorialista de La Stampa.



I termini della lettera della Commissione Ue non sono immediatamente chiari. Che cosa significa realmente questa contestazione e quanto è grave?

Dietro alla scarsa chiarezza dei termini c’è anche una scarsa chiarezza delle intenzioni. Da un lato la Commissione Ue si sente fortemente legata alle procedure, le quali sono chiaramente stabilite dai trattati. Una volta però che uno ha stabilito le procedure si accorge che possono essere rese flessibili e che possono essere lette in diversi modi, e quindi aggiusta il tiro delle risposte. Alla flessibilità italiana fa da contrappunto il muro di gomma da parte dell’Unione europea. Il tutto in un mondo lievemente irreale, in cui le cifre in contestazione incidono pochissimo rispetto ai nostri bilanci pubblici.



Qual è quindi il senso di una lettera così sibillina?

Innanzitutto quello che emerge è un certo imbarazzo nella posizione del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. In parte l’imbarazzo deriva dal fatto che richiami di questo tipo dovrebbero essere inviati in continuazione alla Francia. Quest’ultima gode di un trattamento di favore e avendo fatto una convenzione con l’Unione europea le viene permesso di tutto, mentre all’Italia non è permesso nulla. Il vero asse portante dell’Ue del resto è l’intesa franco-tedesca, e quindi la Germania fa di tutto per non mettersi in contrapposizione con la Francia.



Il Piano Casa è effettivamente una risposta all’emergenza terremoto, o in realtà va ben oltre questo specifico problema?

Il governo presenta il Piano Casa come una misura di emergenza, e quindi non soggetta ai vincoli del patto di stabilità, mentre si potrebbe argomentare che non si tratta di emergenza, bensì di un consolidamento strutturale. I geologi però affermano che entro cinque anni noi dobbiamo aspettarci un altro terremoto. In media ogni cinque anni infatti abbiamo un sisma devastante perché non siamo attrezzati. È quindi giusto impostare un piano nazionale per porvi rimedio. È una questione di lana caprina voler disquisire se questo piano nazionale rientri o meno nel punto del patto di stabilità relativo alle emergenze. L’aspetto politico veramente significativo è che qui si chiede una flessibilità in più, sperando di recuperarla entro un anno.

Matteo Renzi ha risposto alla lettera minacciando di mettere il veto sul bilancio Ue. È un atteggiamento che paga?

Finora non ha mai pagato, se non forse in termini di una pressione per ottenere maggiore flessibilità. La vera ragione di questa uscita però va letta tra le righe, in quanto ci sono dei piccoli scheletri negli armadi della Commissione Ue. A essere pagati tanto non sono soltanto i parlamentari italiani o europei. Se si va a vedere che cosa fanno i commissari Ue quando si conclude il loro mandato, si scopre che vanno a finire in posti molto curiosi. Ne è un esempio l’ex presidente José Manuel Barroso. Renzi vuole alludere a questo per fare capire che è al corrente di queste situazioni e che devono pesare sul piatto della bilancia.

 

Renzi non dovrebbe preoccuparsi soprattutto del fatto che la nostra economia non cresce abbastanza?

Se noi andiamo a vedere l’ultimo rapporto del Fmi, è allucinante vedere come le previsioni sul Pil mondiale siano passate dal 4,5% al 2/2,5% nell’arco di sette/otto anni senza che nessuno sappia bene perché. Tutto ciò determina una perdita importante anche per l’Italia, che probabilmente sarà pari allo 0,2-0,3% del Pil. Le sanzioni europee alla Russia per l’Ucraina hanno penalizzato soprattutto Italia e Germania. Berlino però più forte, noi un po’ meno e quindi facciamo più fatica a sopportarne le conseguenze.

 

(Pietro Vernizzi)