Forse qualcosa si muove, nel panorama lunare – anzi, marziano, in onore della compianta sonda Schiaparelli – del sistema bancario europeo e del pensiero unico autolesionista che sembra ispirarlo. Qualcosa che ci fa sperare, forse illudere, nella nascita di un movimento d’opinione corale, diffuso, contro le assurdità dei regolatori internazionali che, per un classicissimo eccesso di zelo tardivo, stanno strangolando il sistema bancario e, tramite esso, le piccole e medie imprese. Se personaggi diversissimi tra loro, ma molto autorevoli, muovono critiche simili agli eccessi di rigore della normativa, senza pudori opportunistici, vuol dire che forse il sistema si sta svegliando.
Critiche dure come quelle avanzate da Ennio Doris, fondatore e presidente di Banca Mediolanum, o da Giuseppe De Lucia Lumeno, segretario generale dell’Associazione fra le banche popolari italiane, o ancora da Robert Reich, economista statunitense di ispirazione socialista, già consulente di Clinton e di Sanders, nella sfortunata sfida alla Clinton nelle elezioni per la nomination. La linea di pensiero che sta emergendo è che, continuando ad agire come stanno facendo, le autorità regolatorie internazionali – dalle banche centrali nazionali alla Banca centrale europea all’Eba – finiranno col distruggere le banche anziché aiutarle a salvarsi. E si sa che se implodono le banche, implode il sistema. Ma andiamo con ordine.
“Il bail-in è una regola nata da un concetto corretto, ma si sta rivelando una follia e una sciagura per il settore bancario”, ha detto Ennio Doris, un innovatore ma tradizionalmente attento a non fare polemiche sterili. “Di fronte al rischio di perdere i soldi depositati in banca, i risparmiatori non li depositano più, e comunque, impauriti dall’eventualità che la loro banca possa fallire e coinvolgerli, rinviano consumi e investimenti. E questa è una sciagura per l’economia”. “La soluzione del bail-in, così com’è configurata oggi, la definisco una follia che sta diventando una sciagura perché sta indebolendo le banche: basta che una banca sia un po’ chiacchierata per essere distrutta sul mercato”.
Doris ha citato il caso delle good bank create dalla risoluzione delle quattro banche fallite a fine 2015 (Etruria, Chieti, Ferrara, Marche): “Sulle ceneri di quelle banche ne sono state create quattro, le good-bank, sane all’origine grazie all’intervento del sistema, ma nell’insieme il dissesto ha impressionato a tal punto il mercato che molti clienti sono scappati via anche dalle banche risanate. Il risultato è che probabilmente si incasserà, vendendole, meno del preventivato. Qualcosa del genere è accaduto anche per le due popolari venete. Quindi una regola pensata teoricamente per tutelare il mercato e il contribuente ha fatto effetti ben peggiori sul sistema. È giusto trovare un modo per premiare i banchieri bravi e punire quelli non all’altezza, ma dev’essere un sistema diverso dal bail-in”.
Per Giuseppe De Lucia Lumeno, che ne ha scritto ultimamente su “L’Occidentale”, “l’intero mondo bancario europeo, composto da singole e più o meno grandi banche nazionali e internazionali e dalle associazioni che le rappresentano, sta chiedendo, da diversi mesi, alle banche centrali e alle autorità di supervisione di bloccare ogni intervento in materia di vigilanza sul patrimonio. La richiesta di una vera e propria moratoria è diffusa anche fuori dall’Europa e va dall’associazione bancaria del Canada e a quella del Giappone. Le banche statunitensi stanno addirittura pensando a un’azione legale contro la Federal Reserve per bloccare l’attività di controllo nel 2017 considerando l’esercizio degli stress test motivo di speculazione selvaggia da parte delle borse, oltre che pratica poco trasparente. La generale e giustificata preoccupazione avvertita dagli istituti di credito è che il Comitato sulla Supervisione Bancaria di Basilea riscriva, di nuovo, le regole prudenziali sul credito rendendole ancora più rigide di quello che già sono”: è il nuovo “corpus” di regole in preparazione, che già va sotto il nome di “Basilea 4”.
“Un intervento che, almeno in Europa”, prosegue De Lucia, “rappresenterebbe l’ennesimo shock normativo degli ultimi 10 anni dopo Basilea 2 e 3, l’introduzione del Meccanismo unico di Vigilanza, il sistema di risoluzione delle crisi e il bail-in, le disposizioni in tema di governance e quelle sulla trasparenza dei servizi finanziari. Il Comitato di Basilea starebbe, infatti, per imporre alle banche un modello di rischio standardizzato da utilizzare per valutare l’affidabilità di ogni cliente nel momento in cui chiede un finanziamento. Un modello standardizzato che vieterebbe il ricorso a sistemi di valutazione interni e flessibili, ma in grado di valutare e apprezzare le caratteristiche particolari del mercato di riferimento e quelle dell’affidabilità del cliente. Insomma, un sistema asettico, avulso da qualsiasi contesto soggettivo e di mercato, esclusivamente teorico che, paradossalmente, butterebbe dalla finestra i modelli di cui si sono dovuti dotare le banche, grandi e medio grandi, costati milioni di euro e decine di ore/uomo per una messa a punto durata circa dai sei agli otto anni”.
Altro fronte di attacco, caro alle banche cooperative ma anche agli economisti “reali”. Come l’americano Reich, che parlando al “Summit Internazionale delle Cooperative”, che si è svolto a Quebec City in Canada dall’1l al 13 ottobre scorsi, ha difeso le banche di territorio – che in tutto il mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, sono sotto attacco normativo ma sono l’architrave del sistema creditizio locale -, sottolineando che “nel 2008 – quando è cominciata la crisi – i cinque maggiori gruppi bancari avevano insieme il 22% del patrimonio del mercato, ma oggi hanno il 44%”. Una concentrazione che sul piano economico non è certo un vantaggio! E infatti: “La ricchezza concentrata rappresenta un grande problema: un problema che le cooperative, dato il loro significato e la loro struttura, sono ideali per contribuire a risolvere”.
E Corrado Sforza Fogliani, presidente dell’Associazione banche popolari gli ha fatto eco sottolineando che “in nessun Paese al mondo le banche territoriali incontrano l’ostilità che incontrano in Italia, a livello governativo e mediatico, per effetto dell’imperante bonapartismo economico al quale non piace la concorrenza che queste banche assicurano nei paesi in costante crescita”.
Insomma: il primo passo per un ripristino dell’equilibrio e del buon senso è che si rompa il coro monocorde di rispettoso consenso a una linea normativa che ha prodotto disastri. E questa rottura del consenso è cominciata, anche ad alto livello.