«Il balletto di cifre su alcuni decimali di punto tra Italia e Unione europea nasce dal fatto che ciascuno vuole salvare la faccia di fronte ai propri elettori, anche se non sarà questo a salvare l’Europa». È il commento di Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma. Giovedì il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha risposto alla lettera della Commissione Ue con la quale si sollevavano rilievi sulla bozza della legge di bilancio 2017. L’argomentazione principale del ministro è che l’output gap è stato ridotto dal -1,1% al -1,7% a causa del peggioramento della congiuntura internazionale.
Professore, che cosa ne pensa della risposta di Padoan?
Il gioco è chiaro: si tratta di cercare di portare a casa l’ok della Commissione Ue senza che nessuna delle due parti in causa perda la faccia. Io sono convinto che alla fine troveranno l’accordo, perché nessuno dei due ha interesse a dare vita a un conflitto, soprattutto in questo momento. A un mese dal referendum non si può mettere in crisi il governo italiano, che è uno degli alleati più importanti all’interno dell’Unione europea. D’altra parte Matteo Renzi non ha la forza per spingere ulteriormente e ottenere maggiori concessioni.
Su che cosa si accorderanno le due parti in causa?
Le due parti in causa si accorderanno nel trovare una motivazione che si tenga in piedi. È un gioco di equilibrio, tanto che sono sicuro che questa lettera è stata scritta a quattro mani da Padoan e Pierre Moscovici, commissario Ue per gli affari economici e monetari. Poi poco importa chi abbia ragione in questa discussione sullo 0,1 o 0,2%.
Secondo lei quindi che cosa importa veramente?
Tutto ciò dimostra soltanto una cosa: nell’Unione europea è complicatissimo sbarazzarsi della grande costruzione chiamata Fiscal compact. Quest’ultimo ha un’influenza reale, perché al massimo quello che si riesce a ottenere è uno 0,1-0,2% di flessibilità. La conseguenza è che l’Unione europea non si tirerà fuori facilmente dalla palude. Entro l’1 gennaio 2018 bisognerà deliberare se fare entrare o meno il Fiscal compact nel trattato dell’Unione europea.
In che senso?
Per ora il Fiscal compact è un accordo intergovernativo, ed entro la fine del 2017 i governi dovranno decidere se debba fare parte o meno del trattato dell’Unione europea. L’Italia avrà la sua ultima occasione per mettere il veto, e vedremo se il governo Renzi saprà mostrare coraggio. Fino a quella data nei Paesi dell’Unione europea si terranno numerose elezioni, non soltanto quelle italiane.
Quali saranno le conseguenze di questa campagna elettorale continua?
Di qui a fine 2017 non si potrà fare altro se non questi giochetti tattici, che però fanno perdere un altro anno di crescita potenziale che avremmo potuto avere senza il Fiscal compact. Quindi si rafforzeranno le resistenze populiste e diventeranno più importanti i movimenti anti-Ue. Non sarà insomma un anno perso a costo zero, in quanto avremo conseguenze drammatiche crescenti.
Se nel 2016 l’output gap peggiora, è credibile che poi nel 2017 il Pil cresca dell’1% come previsto dal governo?
In realtà inizialmente il governo italiano aveva previsto una stima più alta per quanto riguarda la crescita nel 2017. In ogni caso in questa dichiarazione di Padoan c’è qualcosa che stona. Mentre mi aspettavo l’argomentazione sul terremoto, non mi attendevo quella sul ciclo internazionale.
L’output gap che passa dal -1,1% al -1,7% coincide con lo 0,6% di deficit in più contestato dall’Unione europea. Tra le due cose c’è un rapporto diretto?
No. L’output gap permette di dire al governo che il deficit strutturale, quello che dovrebbe portare allo 0% nel medio termine, non è così negativo come afferma l’Unione europea. Altra cosa è il deficit nominale, che è pari al 2,3-2,4%. Il rilievo mosso dall’Unione Europea è che l’Italia non sta facendo miglioramenti verso il pareggio di bilancio di medio termine.
Qual è il senso della risposta di Padoan?
Il senso della risposta di Padoan è che il deficit strutturale dell’Italia non è così elevato come sostiene l’Unione europea. Cioè la riduzione del deficit strutturale che tiene conto del ciclo sarebbe maggiore rispetto a quanto afferma l’Unione Europea a causa del crescente output gap che non è stato considerato dalla stessa Ue. Questa querelle non è quindi da collegare alo 0,6% di deficit nominale in più.
Che senso ha questa schermaglia su decimali di punto quando ci troviamo in una situazione economica e politica così caotica?
Renzi vuole fare vedere che riesce a spuntare qualcosa dall’Unione europea, mentre quest’ultima intende mostrare di avere bloccato misure eccessivamente espansive da parte del governo italiano. Questa presa di posizione dell’Unione europea è stata pretesa da Angela Merkel, e quindi ciascuno vuole salvare la faccia di fronte al proprio elettorato, anche se non è in questo modo che si salva l’Ue.
(Pietro Vernizzi)