“Il futuro è di chi fa”. Più di ogni cifra o di ogni sottolineatura tecnica, per Giuseppe Castagna amministratore delegato della Popolare di Milano – il progetto di fusione con il Banco Popolare è una scelta di lavoro e di coraggio da parte di tutti quelli che la stanno portando a termine: i soci, i dipendenti, i clienti mentre attorno i mercati finanziari, le autorità di vigilanza, il governo seguono con la massima attenzione. Il mese di ottobre segnerà la fase finale dello sviluppo di un progetto avviato lo scorso marzo dai consigli d’amministrazione di Bpm e Banco Popolare. Sabato 15 ottobre, i soci della Popolare di Milano si ritroveranno in assemblea straordinaria per il via libero definitivo alla fusione destinata a creare il terzo polo bancario italiano: la formalizzazione dell’operazione è in calendario per l’1 gennaio. Su questo momento decisivo Castagna ha voluto rispondere alle domande del sussidiario.



Dottor Castagna, a sei mesi dalla scelta iniziale degli organismi di governance dei due gruppi, il piano mantiene la sua piena validità. Come si accinge a riassumere le motivazioni e gli obiettivi nel confronto diretto con i 47mila soci della Bpm?

Il piano industriale, presentato congiuntamente al Banco Popolare lo scorso 16 maggio, non solo mantiene la sua validità, ma si è ulteriormente rafforzato in seguito alle autorizzazioni rilasciate, senza riserve e senza alcuna richiesta aggiuntiva, da Banca d’Italia e Bce agli inizi di settembre. È un piano ambizioso che produrrà molta redditività, basti pensare alle sinergie che costituiranno il carburante per il raggiungimento degli obiettivi al 2019, in un contesto in cui i tassi si manterranno bassi anche per i prossimi anni. Ai soci che interverranno in assemblea illustrerò il progetto sintetizzandone obiettivi e azioni principali, così da rendere tutti consapevoli dell’effettiva valenza strategica dell’operazione, ma ciò che maggiormente mi sembra importante trasmettere è la rilevanza che questa fusione riveste non solo per i due istituti coinvolti, ma per l’intero sistema bancario italiano.



Il presidente della Bce, Mario Draghi, negli ultimi giorni ha sollecitato le banche europee ad aggregarsi per far fronte ad alcuni “eccessi di offerta”: la fusione Banco-Bpm appare una risposta concreta e importante dallo scacchiere italiano. Quali sono i percorsi industriali che il nuovo gruppo intende seguire per essere competitivo nella nuova situazione di mercato?

A partire dal 1° gennaio 2017, la fusione Banco-Bpm darà vita al terzo gruppo bancario del Paese. La crisi ha dimostrato come per le banche piccole e regionali sia diventato complicato fare il loro mestiere. La tipologia di clientela sta cambiando, le richieste di servizi sempre più ad personam o rispondenti a bisogni sempre più diversificati mettono in difficoltà sul lungo periodo le piccole e medie realtà bancarie, a causa dell’aumento dei costi per poter far fronte alle numerose esigenze. Prendiamo il caso della multichannel bank, una realtà che fino a pochi anni fa non esisteva ma che ora è in continua espansione, come lo sono i costi di implementazione, sicurezza e personalizzazione dei servizi. 



Solo i grossi gruppi bancari possono avere le risorse tecniche ed economiche per soddisfare una tale richiesta e poter competere in un mercato in crescita e sempre più concorrenziale. Da questi presupposti nasce l’esigenza di ampliare le proprie dimensioni. L’integrazione tra Bpm e Banco permetterà di creare un gruppo, che mantenendo le proprie radici di banca territoriale, si estenderà in tutta Italia, con un posizionamento nel nord del Paese quasi uguale a Intesa Sanpaolo e UniCredit. Il progetto di fusione, oltre a un aumento della redditività, genererà la possibilità di una migliore e più articolata offerta di prodotti e servizi alla nostra clientela. Questo a livello nazionale significa dare maggior linfa alle piccole medie imprese per aiutare la ripresa economica del Paese, nonché alle famiglie, per concorrere alla crescita dei consumi e alla stabilità sociale.

 

La fusione Bpm-Banco porterà contestualmente alla nascita di una Spa bancaria e questo rappresenta anche il compimento del percorso di riforma delle Popolari delineato dal Governo all’inizio del 2015. La Popolare di Milano, in particolare, è una banca storicamente legata al modello cooperativo. E’ possibile contemperare le spinte della riforma con le attese dei soci riguardo una transizione lineare? Banco-Bpm sarà il terzo champion nazionale: resterà anche una “grande banca di territorio” come nella tradizione operativa delle due banche?

Il decreto emanato dal Governo ha previsto che tutte le Popolari con attivi superiori a 8 miliardi entro la fine del 2016 si trasformassero in Spa. Il provvedimento ha rappresentato un stimolo indubbio per le stesse a prendere in considerazione un progetto di aggregazione, così da non rischiare di essere oggetto di appetiti da parte di realtà più grandi. Bpm si è mossa con grande anticipo. Nelle tappe di questo percorso abbiamo messo in sicurezza i principali aspetti di welfare per i dipendenti e portato a termine anche un accordo per il Fondo di solidarietà volontario, così da assicurare condizioni assolutamente vantaggiose al personale che aderirà. Potremo dunque essere i veri protagonisti del cambiamento, con il grande privilegio di poter anche scegliere le modalità con cui affrontarlo. Sul piano strategico ho sempre ritenuto – personalmente – che non sia la ragione sociale a definire una banca “di territorio”, ma una questione di identità: oserei dire di Dna. Banca Popolare di Milano per oltre 150 anni di storia è stata partner affidabile di numerose iniziative nei suoi territori di riferimento. Questo anche perché da statuto la banca può scegliere di destinare un importo non superiore al 2% dell’utile netto deliberato dall’assemblea nell’esercizio precedente, da utilizzare per la realizzazione di iniziative riguardo ai territori di insediamento del gruppo. All’interno dello statuto del nuovo Gruppo Banco-BPM è prevista la possibilità di destinare una quota del 2,5% dell’utile netto d’esercizio per le medesime iniziative. Credo che questo – e non solo – testimoni una volontà effettiva di proseguire l’impegno che da sempre è stato profuso a favore dei territori di appartenenza.

 

Il sistema bancario italiano negli ultimi anni è stato sottoposto a pressioni forti su molti fronti: la recessione (che ha gonfiato le sofferenze nei bilanci), il pressing regolatorio, soprattutto sul versante dei requisiti di capitale dopo l’avvio dell’Unione bancaria, l’inedito contesto finanziario “tassi zero”, non da ultimo un’immagine negativa presso l’opinione pubblica. Il piano Banco-Bpm – come ha sottolineato anche il ministro dell’Economia Padoan guardando con esplicito favore alla fusione – intende proporsi come una storia di “exit” positiva. Quali sono, comunque, a suo avviso, condizioni che possono agevolare l’intero sistema bancario italiano sulla via del turnaround? 

Quello che credo sia necessario ho fatto in modo e spero si realizzi. Mi spiego. Credo che il sistema bancario si sia troppo frammentato e abbia prodotto numerose realtà, anche virtuose, ma che oggi, con i contesti attuali, le economie depresse e le grandi sfide che la politica economica internazionale ci propone, non potrebbero essere in grado di sostenere l’evoluzione dell’economia reale. Le aggregazioni tra banche, la cui stagione stiamo per inaugurare, consentirà, come nel caso di Banco-Bpm di ragionare in termini di dimensioni diverse, di sviluppo delle sinergie, risparmio dei costi, specializzazione e professionalità. Tutto ciò garantirà non solo una sana competizione in un mercato in cui la concorrenza sostiene la qualità del servizio offerto ai clienti, ma soprattutto di rimanere protagonisti in una comunità europea che chiede sempre più perfezionamento e competenze. Non vuol dire abbandonare un modello di business che ha sempre visto le banche grandi sostenitrici dei territori, delle Pmi, delle famiglie; semplicemente, fare di più e fare meglio, perché “Il futuro è di chi fa”.