Il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz è un caso di sopravvalutazione globale e globalista. Non ho mai capito per quale speciale scoperta o geniale contributo alla “dismal science” abbia preso il Nobel, fatto sta che pontifica su tutto, da anni, e sull’euro è diventato in ispecie una sorta di vate in lingua inglese. Perplesso sull’euro e sull’Europa, e fin qui dalle mie parti il plauso è in default, ma anche quando sembra essere d’accordo con gli euroscettici, c’è qualcosa che non torna.
Le sue ultime dichiarazioni a Die Welt sull’euro nella percezione degli italiani, per dirla in formula, confermano questo “nota bene”.
“Quando parlo con gli italiani avverto che le persone lì sono sempre più deluse dall’euro. Scienziati e leader politici sono ampiamente frustrati e delusi dall’unità monetaria”, ha detto Stiglitz rispondendo alla domanda se l’Italia farà parte in futuro dell’eurozona. “Agli italiani diventa chiaro che l’Italia nell’euro non funziona”, ha proseguito Stiglitz, “e questo per gli italiani è emotivamente davvero difficile e si sono rifiutati a lungo di accettare tale convincimento”. L’economista statunitense ha poi auspicato riforme come unione bancaria e garanzia comune dei depositi criticando però i politici: “Non sono pronti a portare avanti le riforme necessarie al funzionamento dell’unione monetaria” (Fonte Ansa).
Ora, domanda: ma Stiglitz è così naturhaft – per dirla con chi legge Die Welt in patria – o ci fa? A sentire il Nobel americano, la sua frequentazione del Bel Paese – o ex tale – è una specie di lavoro. Egli, infatti, il Vate degli ex “anni ruggenti”, parla con gli italiani (dove? Al bar? Frequentando salotti? Con chi conferisce, di grazia, il Nostro? “Gli italiani”… categoria generale e universale non meglio definita…), e infine sentenzia: sono “emotivamente” scossi dall’euro, eh no, non funziona. Ma guarda un po’, questa sì che è chicca da Nobel.
Voglio proprio approfondire lo Stiglitz-pensiero: “Agli italiani diventa chiaro che l’Italia nell’euro non funziona”. Bum! Chissà mai perché agli “italiani” – la nuova Classe generale, anche antropologica, di stiglitziana memoria – sembra un tantino che l’euro non funzioni. Ma che cattivoni, così cinici e ostili al benamato euro. Non sarà perché ha massacrato gli stipendi? Chissà…è un’ipotesi di lavoro. O forse perché il debito è arrivato alle stelle a cifra doppia rispetto al secolo dominato dalla lira? O magari perché, per magia, la globalizzazione versione eurocrazia si è congiunta con lo sfascio del cosiddetto welfare state e ha ridotto il lavoro a variabile dipendente da tutti i crac sistemici che da dieci anni circa ormai si susseguono a ogni piè sospinto? Chissà…così, butto giù qualche pensiero da “italiano” appartenente alla vasta categoria degli “italiani”, anche se, purtroppo, non ho mai avuto la buona sorte di incontrare questo luminare spettacolare, che trasuda verità storiche ed economiche da tutti i pori, riempiti di dollari, of course…
Ma andiamo ancora più a fondo sugli “italiani”. Mi sembra che siano italiani anche il Prof. Guido Tabellini, ex Rettore della Bocconi, fedelissimo di Mario Monti, il quale scrive che “uscire dall’euro è il male minore”, a fronte di molti mali maggiori, in primo luogo rimanervi. L’ottimo Stiglitz ha parlato anche con Tabellini, per caso? O forse ha conferito anche con il Prof. Luigi Zingales, che, alla fine, ha dovuto ammettere di aver cambiato idea sull’euro e la Merkel, seguendo il metodo di Sir John Maynard Keynes: “Quando i fatti cambiano, io cambio opinione. Cosa fa lei?”.
Ecco, dopo questa selezione di “italiani”, magari non incontrabili proprio sotto casa, ma con Stiglitz in Italia le cose cambiano, perché lui non alloggia nell’alberghetto a 3 stelle, quindi lui può, qualcosa dovrebbe cambiare in termini di percezione generale dello “stato dell’arte” su euro ed eurocrazia. Dovrebbe. Ma forse il Nobel americano per l’economia ha messo Keynes in soffitta, come ormai quasi un secolo fa qualcuno ha fatto con Marx. Poco male, rinfreschiamogli la memoria: “Quando i fatti cambiano, io cambio opinione. E lei?”.