«La Nota di aggiornamento al Def del settembre 2015 prevedeva un Pil 2016 al +1,6%, mentre ora il governo si attende un +1% nel 2017. Stiamo arretrando su cifre che in ogni caso sono la metà rispetto a quelle previste in precedenza, mentre nel 2016 il mondo cresce in media del 3,1%». È il commento di Claudio Borghi Aquilini, responsabile del dipartimento Economia della Lega Nord e consigliere della Regione Toscana. L’esame finale in aula della Nota di aggiornamento al Def è slittata a mercoledì prossimo, in quanto i tecnici del ministero dell’Economia stanno preparando delle “informazioni aggiuntive” con l’obiettivo di rispondere alle perplessità sollevate dall’Ufficio parlamentare di bilancio.

Rinviando la presentazione del Def, il governo ammette la propria debolezza?

Non sono io a dirlo: ci sono parti stesse della maggioranza e commentatori non avversi per principio a Matteo Renzi, i quali affermano che le cifre contenute nella Nota di aggiornamento al Def sono assolutamente inventate. Quello che sembra sfuggire ai più è che anche queste cifre inventate corrispondono esattamente alla metà della crescita che era prevista dal Def dell’anno scorso. L’aggiornamento al Def del settembre 2015 prevedeva un Pil 2016 al +1,6%. Stiamo arretrando su cifre che in ogni caso sono la metà rispetto a quelle previste dal governo, mentre nel 2016 il mondo cresce in media del 3,1%.

Per il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, nel 2017 ci sarà un crollo degli scambi globali. Come sarà possibile realizzare una crescita comunque superiore a quella del 2016?

Ah beh, se lo dice Caldenda. Già mi vedo il ministro del Commercio americano, quello cinese o russo disperati per le dichiarazioni di Calenda. Ma dategli delle goccine.

Quindi lei esclude che si possa verificare un crollo negli scambi globali?

No, non lo escludo. Certo però non capita perché lo dice Calenda. Se e quando avverrà, sarà perché dal 2008 il resto del mondo è cresciuto fortemente. È normale che nell’economia ci siano dei cicli, e noi abbiamo attraversato tutta questa fase di forte crescita recedendo o stagnando. Questo fatto ci deve fare capire che cosa accadrà all’Italia quando il vento favorevole della congiuntura internazionale verrà a mancare.

Basterà disattivare le clausole di salvaguardia per fare crescere il Pil?

Assolutamente no. Anzi, il giorno stesso in cui si alzerà l’Iva del 2% i consumi scenderanno oppure aumenterà il nero. Se la quota che le famiglie destinano alle spese è 100 e io aumento la quota che va alle tasse, ciò significa che i consumi si riducono istantaneamente. Oppure la gente continua a consumare come prima, ma lo fa in nero, perché decide che è più conveniente rischiare di evadere l’Iva piuttosto che pagarla. Disattivare le clausole di salvaguardia non ci farà guadagnare nulla, mentre ci costerebbe metterle. C’è un esempio che lo documenta…

Quale?

Di recente in Giappone il premier Shinzo Abe ha aumentato l’Iva. Ciò ha prodotto un crollo devastante dei consumi, tanto che il governo ha deciso di ritornare sui propri passi ammettendo il suo errore. Abolito l’aumento dell’Iva le cose sono tornate a migliorare.

 

Sempre per Calenda, “la discussione da aprire il prossimo anno a Bruxelles è sull’esistenza in vita del Fiscal compact”. Lo ritiene possibile?

Il Fiscal Compact all’atto pratico è totalmente inapplicato, tanto è vero che tutti gli Stati dell’Unione europea tranne la Germania sono in deficit. La vera questione è come sarebbe possibile applicarlo, perché solamente un cretino potrebbe pensare che tutti gli Stati vadano in surplus. In questo caso Calenda ne dice una giusta: bisogna discutere sull’esistenza del Fiscal compact. Del resto lo stesso pareggio di bilancio in Costituzione non è applicato, anzi l’Italia sta trattando con l’Unione europea per vedere se possiamo arrivare a un deficit/Pil del 2,5% oppure al 2,2%. A rigor di logica in virtù del pareggio di bilancio in Costituzione l’Italia dovrebbe avere un rapporto deficit/Pil dello 0%.

 

In ogni caso è possibile una ridiscussione delle regole dell’Unione europea che consenta di avere degli obiettivi più realistici?

No, per il semplice fatto che ci sono delle contrapposizioni d’interesse. È totalmente impossibile pensare a delle regole che beneficino tutti e non danneggino nessuno, nel momento stesso in cui nell’Unione europea ci sono interessi contrapposti. Poiché abbiamo creditori e debitori nonché esportatori concorrenti, i conflitti sono all’interno dell’Ue stessa. La conseguenza è che qualsiasi regola danneggia qualcuno a svantaggio di qualcun altro. Lo stesso euro porta svantaggi a tre quarti dell’Unione Europea e vantaggi a un quarto.

 

Il vero problema è l’euro o la mancanza di un’Unione europea politica?

È una vexata quaestio. Certo, se ci fosse un’Unione europea politica con trasferimenti fiscali dove tutto quello che è guadagnato dagli Stati ricchi fosse trasferito a quelli poveri, con uno schema simile a quanto avveniva tra Italia del Nord e Mezzogiorno quando c’era la lira, il sistema terrebbe. In ogni caso però funzionerebbe male, perché abbiamo visto che il sistema dei trasferimenti non comporta nessun beneficio in termini di sviluppo da parte di chi riceve i trasferimenti stessi.

 

(Pietro Vernizzi)