A metà ottobre il Fondo monetario internazionale ha scritto in un rapporto che la Deutsche Bank è un rischio per la stabilità finanziaria globale e le autorità Usa hanno colpito il gruppo tedesco con una multa record di 14 miliardi di dollari per estesa cattiva condotta durante il boom della finanza derivata. Non risulta che la vigilanza Bce si sia particolarmente allarmata. Negli stessi giorni, anzi, la vigilanza di Francoforte ha dovuto difendersi dalle accuse del Financial Times di aver favorito Deutsche durante gli ultimi stress test: accettando la contabilizzazione della vendita di una partecipazione in Cina, tuttora non perfezionata.
Il capo della supervisione di Francoforte – la francese Danièle Nouy – si è affannata anche la settimana a Milano, nel corso di un seminario all’università Bocconi: “Abbiamo rispettato le regole”. Certamente la Bce non ha mai voluto ingerirsi nel ruolo degli azionisti nel disastro Deutsche Bank (6 miliardi di perdita nel 2015): i colossi industriali tedeschi cui ora il governo Merkel, Bafin e Bundesbank chiedono di ricapitalizzare la banca, riannodando gli intrecci del “capitalismo renano”; oppure i mega-fondi che hanno spinto la Deutsche a trasformarsi in un hedge-replicante, imbottito di derivati talmente complicati e opachi che la Bce si rifiuta di valutarli nei suoi test.
La settimana scorsa, invece, la vigilanza Bce ha trovato tempo di occuparsi dei proprietari di una banca italiana. Una banca non sistemica, un gruppo che non ha mai dato preoccupazioni né in passato alla vigilanza della Banca d’Italia, né ora a quella europea. Banca Mediolanum non ha mai presentato un trimestre in rosso, neppure dopo che, nell’estate 2011, la speculazione internazionale bombardò lo spread italiano, le banche italiane e il capo del governo italiano: Silvio Berlusconi, socio fondatore e grande azionista stabile di Mediolanum attraverso Fininvest.
La holding del Biscione è tornata al 30% in Banca Mediolanum in seguito a un riassetto societario (“fusione inversa” fra la banca e la controllante Mediolanum Spa). La Bce (formalmente presieduta da Mario Draghi) ha tuttavia considerato l’operazione una “acquisizione” – cioè un ingresso ex novo – e si è detta contraria non per timori di stabilità della banca, ma esclusivamente per una situazione soggettiva di Berlusconi. Quest’ultimo non siede neppure negli organi di governo della banca, ma è proprietario della holding che partecipa alla banca, in posizione non di maggioranza.
Il Cavaliere ha perduto i requisiti di onorabilità bancaria per effetto di una condanna definitiva subita nell’estate 2013: per frode fiscale, non per reati bancari o legati a Mediolanum. Le regole della vigilanza bancaria nazionale prevedevano allora che a un soggetto privo dei requisiti di onorabilità fosse precluso non solo l’accesso alle cariche sociali in banca, ma anche il possesso di di una quota superiore al 9,9%. La vigilanza Bce – entrata in funzione nel novembre 2014 – si è espressa sulla base di un’istruttoria della Banca d’Italia e ha giudicato Fininvest un “cattivo padrone” di Banca Mediolanum. Nessun peso ha avuto nemmeno il fatto che la scorsa primavera, dopo un lungo iter di ricorsi, il Consiglio di Stato italiano abbia congelato per Fininvest l’obbligo a vendere la quota eccedente.
Tant’è: lo Stato tedesco ha salvato Commerzbank nel 2009 ed è tuttora azionista di riferimento del gruppo, tutt’altro che risanato e lontano dalla prospettiva di essere ricollocato al mercato. È un “buon padrone”? Certamente per la autorità bancarie europee (Bce e Meccanismo di Risoluzione Unico) la situazione proprietaria di Commerz non è un problema, quella di Banca Mediolanum sì. Analogamente non è un problema se Berlino tarda a riprivatizzare una banca fallita prima dell’Unione bancaria, mentre le quattro banche italiane risolte nel novembre 2015 senza alcun aiuto pubblico vanno rivendute senza indugio: anche se questo comporta l’azzeramento dei due miliardi di “colletta obbligatoria” imposta alle altre banche italiane. Per non parlare del destino di Atlante, che ha salvato Popolare di Vicenza e Veneto Banca dopo un’altro raccolta straordinaria da due miliardi e mezzo presso banche, fondazioni, assicurazioni, Cassa depositi e Prestiti.
Ora le due banche hanno annunciato – come largamente prevedibile anche a Francoforte – nuove perdite: e la Bce chiede nuove misure “senza indugio”. Il progetto di fusione messo in cantiere “senza indugio” da Atlante e dalle due Popolari produrrà altre perdite agli investitori-salvatori, tagli sanguinosi ai dipendenti, riduzione dell’offerta di credito al territorio. E dire che uno de vecchi “cattivi padroni” di Veneto Banca, l’ex amministratore delegato di Veneto Banca è da mesi agli arresti domiciliari, in condizioni di non nuocere: a differenza di quanto mai accaduto in Germania o a Wall Street.