Quel che sta accadendo al Monte dei Paschi di Siena va ormai oltre il quadro desolante di cattiva gestione di un piano di salvataggio e rilancio incautamente affidato a mani spregiudicate e inadeguate: sconfina in una spregiudicatezza inammissibile. Ricordiamo i fatti. Due giorni fa la banca oggi guidata dal manager designato da Jp Morgan per interposto ministro Padoan, cioè Marco Morelli – uomo di fiducia di Jp Morgan – ha diramato una nota indirizzata ai circa 40 mila risparmiatori titolari di obbligazioni Montepaschi comprate a suo tempo e non convertibili. In questa nota il Monte dei Paschi di Siena propone a costoro di convertire volontariamente queste obbligazioni in azioni, in modo da alleggerire la banca dal peso patrimoniale legato a questo debito obbligazionario. Già, ma questa proposta, che per le norme in vigore è totalmente facoltativa, può essere fatta in molti modi diversi, e quello scelto dal Monte dei Paschi ha un tono intimidatorio. 



Se la proposta conversione, scrive l’istituto, “non avesse un esito soddisfacente” (in che misura? Non si sa…), le banche che hanno dato una “disponibilità” (non un impegno) a costituire un consorzio di garanzia per collocare il necessario aumento di capitale da 5 miliardi potrebbero sottrarsi all’impegno di garantire l’eventuale inoptato dell’aumento con la conseguenza che Mps “non riuscirebbe verosimilmente” a chiudere la ricapitalizzazione. E allora? Allora, se ciò avvenisse, Mps potrebbe essere sottoposta “ad azioni straordinarie da parte delle Autorità competenti, che potrebbero includere, tra le altre, l’applicazione degli strumenti di risoluzione”, e i titoli “potrebbero essere soggetti a riduzione del relativo valore nominale” oppure a “conversione forzata” in azioni.



È chiaro? La banca dice ai suoi obbligazionisti: siamo praticamente falliti, l’unica speranza è fare un aumento di capitale che però chi dovrebbe garantire non è sicuro di voler davvero garantire. Quindi, date il buon esempio e iniziate voi, obbligazionisti privati, a tassarvi: accettate di convertire le vostre obbligazioni in azioni, alleggerirete la banca di debiti (rimettendoci però di tasca vostra) e vi prenoterete la possibilità di prendere parte all’eventuale recupero di valore del Monte dei Paschi di Siena in caso di successo del risanamento. Se invece il risanamento fallisse, pazienza: è vero che perderete i vostri soldi per il “bail-in”, ma li avreste persi lo stesso comunque…



Una specie di minaccia, un tono estorsivo, la conferma che i vertici del Monte dei Paschi di Siena non sanno assolutamente che pesci prendere. E ne parlano con imbarazzante candore: “un’elevata adesione” alla proposta di conversione riveste “fondamentale importanza” per la riuscita dell’aumento di capitale in quanto “consentirebbe di ridurre l’importo”, con la conseguenza di “aumentarne le probabilità di successo”.

Quel che sta succedendo è piuttosto trasparente. Le ricerche fatte da Morelli in giro per il mondo di investitori disposti a mettere soldi nella banca non hanno ottenuto risultati; la Bce ha in corso un’ispezione a Siena che la banca non aveva comunicato e si è appresa di straforo, e ciò non depone bene; in mancanza di numeri chiari (non è stata ancora aperta la cosiddetta “data room” a disposizione degli eventuali investitori) e in assenza di un forte commitment da parte di un promotore del salvataggio, a maggior ragione gli investitori si astengono; e quindi all’uomo di Jp Morgan non resta che rivolgersi ai piccoli obbligazionisti. Il mercato ha capito che Jp Morgan dall’operazione Siena vuol solo guadagnare pingue provvigioni, senza rischiare un dollaro di suo. E si comporta con altrettanta freddezza. 

Ora, torniamo con la memoria al primo agosto scorso. In quella data, Passera si prepara a presentare il suo piano al consiglio del Monte, che poi non lo vorrà più incontrare. Anche il suo piano prevedeva la conversione volontaria delle obbligazioni in azioni. Ma come scelta a valle e non a monte della ricapitalizzazione. Ecco cosa c’era nel documento di Passera, a proposito del risanamento: venivano descritte tre fasi: “Aumento di capitale in contanti tra i 2,5 e i 3 miliardi da coprire parzialmente anche con investitori finanziari di lungo periodo; conversione volontaria di una parte dei prestiti subordinati per circa un miliardo che metta questa categoria di investitori in condizione di beneficiare – se lo vorranno – del rilancio della banca in qualità di azionisti a pieno titolo; destinazione a patrimonio dell’intero risultato 2017; contributo di Atlante alla Bad Bank con 1,6 miliardi di mezzanino”. E utilizzo di tutto l’utile del primo anno a ulteriore supporto del risanamento patrimoniale. Come dire: tutto un altro film. Con Passera, la conversione volontaria delle obbligazioni avrebbe fatto seguito, e non preceduto, all’iniezione finanziaria degli investitori istituzionali disposti a scommettere sul risanamento della banca…

Il clamoroso autogol del governo nell’aver affidato la patata bollente senese a Jp Morgan e Mediobanca viene dunque fuori in tutta la sua plastica gravità. E la possibilità di riuscita del tentativo di Morelli diminuisce di giorno in giorno. Se dovesse passare, ciò accadrebbe solo in nome di forzature estreme, certo non prive di strascichi, mentre l’alternativa di Passera, come ha dichiarato anche l’ex sindaco di Siena Pierluigi Piccini, “è stata bocciata dalla politica, non si voleva far entrare un estraneo nel sistema Toscana. Hanno giocato contro anche il rapporto finanziario di ferro che da sempre c’è tra Mps e Mediobanca e quello politico tra governo e Jp Morgan”.

A queste condizioni, il salvataggio, se pure dovesse funzionare, sarebbe un affare per pochi e un bagno di sangue per tanti.