Il Documento programmatico di bilancio 2017 dell’Italia rischia di non essere conforme alle regole dell’Ue, perché potrebbe comportare “una significativa deviazione dalla strada di aggiustamento verso gli obiettivi di medio termine”. Lo stesso verdetto è arrivato anche per Belgio, Cipro, Finlandia, Lituania e Slovenia. All’inizio del nuovo anno la Commissione europea presenterà quindi i risultati di revisioni approfondite sulle leggi di bilancio di questi paesi (salvo il Belgio), ma non solo. Sono state “rimandate” anche Bulgaria, Croazia, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo e Svezia. Per Belgio e Italia arriverà inoltre a breve un rapporto sul debito da parte della Commissione. Berlino, come l’anno scorso, finisce sotto esame per il suo eccessivo surplus commerciale. Abbiamo chiesto un commento a Mario Deaglio, Professore di Economia Internazionale all’Università di Torino.
Professore, come bisogna leggere questo giudizio sull’Italia?
Se lo leggiamo in chiave politica, è probabile che le pressioni italiane abbiano avuto successo. E forse anche la paura del veto di Roma sul bilancio europeo. L’Italia ha estratto l’arma che aveva minacciato di usare e l’Ue si è tirata indietro rispetto alle perplessità sulla nostra Legge di bilancio. E Bruxelles ha fatto anche una ritirata “elegante”, perché ha “rimandato” un certo numero di paesi, anche chi ha un surplus e non un deficit. Probabilmente quindi l’Italia può considerare questo giudizio della Commissione come una piccola vittoria.
Potrebbe essere però una vittoria di Pirro se poi a inizio 2017 Bruxelles bocciasse la manovra dell’Italia…
Se la Commissione prendesse questa decisione, si metterebbe su un terreno scivoloso, perché saremo alla vigilia delle elezioni francesi e andremmo quindi a vedere quale atteggiamento è stato tenuto con la Francia, alla quale in questi anni è stato permesso di tutto e di più. Ciò in virtù dell’asse Berlino-Parigi: ai tedeschi è stato concesso di sforare il deficit nei primi anni 2000 e ai francesi viene concesso adesso di fare la stessa cosa. Questo gioco per cui due paesi grandi governano il sistema credo però sia arrivato alla fine e l’Ue dovrà acquistare una personalità propria. C’è poi un altro aspetto da non dimenticare.
Quale?
Se le previsioni sul Pil del terzo trimestre dell’Italia saranno confermate e se questa ripresa, che è ancora per carità la più debole di tutte, si avvicinerà ancora un poco alle media europea anche nell’ultimo periodo dell’anno, allora il nostro deficit/Pil starà dentro o vicinissimo ai margini che erano stati posti. Questo potrebbe aiutare l’Italia nel giudizio che la Commissione dovrà dare nel 2017.
Secondo lei, il veto italiano sul bilancio europeo è stato paventato solo per ottenere questa “retromarcia” dell’Ue?
Credo ci sia dietro anche un discorso più generale. Un discorso che è abbastanza confuso, appena imbastito, ma che potrà essere sviluppato in seguito: si avverte il bisogno di cambiare una struttura basata sui primi due paesi dell’Unione. E se eventualmente, visto che c’è stata la Brexit, qualcuno dei paesi dell’Europa orientale volesse andarsene potrebbe farlo. La Bulgaria potrebbe essere una candidata, visto che i suoi legami con la Russia sono strettissimi.
È stata giusta questa mossa del Governo italiano?
Esprime soprattutto un’esigenza che viene sempre più avvertita. Non è possibile che i paesi dell’Europa dell’Est prendano decisioni autonome che vengono poi in parte accettate, come accade sui migranti. È stata una mossa molto visibile e tutto sommato credo sia stato un bene, perché è una cosa che deve passare all’opinione pubblica. Quindi il discorso che non si fanno i muri con i soldi dei paesi che accolgono i migranti, tutto sommato, nel suo semplicismo, è accettabile.
Secondo alcune analisi, la vittoria di Trump indebolisce l’Europa. Lei è d’accordo?
È passata una sola settimana, dunque è difficile tirare già le somme. Se Trump facesse anche solo la metà di quello che ha detto metterà in pericolo in primo luogo l’economia americana e poi quella globale. Peraltro c’è un episodio del passato sul quale bisogna riflettere. Quando Reagan era Presidente venne deciso di imporre un dazio punitivo molto forte sui semiconduttori provenienti da Giappone e in Cina. Dopo tre mesi i produttori americani di computer andarono in ginocchio dal Presidente a chiedere di toglierlo, perché si metteva a rischio un intero settore produttivo. E anche oggi gli Usa non possono “isolarsi” senza farsi del male.
Pensa invece che le elezioni che l’anno prossimo ci saranno in paesi come Francia e Germania possano rallentare il processo di una necessaria revisione dell’assetto dell’Ue?
Dipende anche da come andranno queste elezioni. Io penso che il 2017 sarà un anno di passaggio, in cui le esigenze verranno poste sia da atti e dichiarazioni dei capi di governo che mediante i risultati delle elezioni. Se non ci saranno stimoli esterni, cioè catastrofi o guerre ai nostri confini, ci sarà tutto l’anno a disposizione per ripensare il modello europeo. Finora l’Ue non ha dato sufficienti risposte ai problemi, bisognerà capire perché e costruire una nuova Unione in cui le risposte arrivino. Tutto questo va messo in agenda a fine 2017-inizio 2018.
(Lorenzo Torrisi)