L’Unione europea non vive un momento facile. Dopo la Brexit, la vittoria di Trump per molti analisti lascerà emergere le debolezze del Vecchio continente. In cui gli attriti tra i paesi aumentano, come dimostra la recente scelta del Governo italiano di non votare a favore del bilancio Ue del 2017, ma di astenersi. Per Paolo Cirino Pomicino, già ministro del Bilancio e della programmazione economica, «l’Europa deve cambiare, non c’è dubbio. Ma non la si cambia dalla sera alla mattina urlando. Perché facendolo non si fa altro che aiutarne l’implosione. Non voglio dire che il braccio di ferro tra il Governo Renzi e l’Europa sulla Legge di bilancio e su questioni più complessive sia figlio del clima referendario, però uno non può non porsi una domanda».
Quale domanda?
Qual è il motivo per cui Renzi e il suo Governo non hanno posto il problema, giusto, legittimo, del finanziamento dell’emergenza migranti che è rimasta largamente sulle nostre spalle, quando l’Ue, su indicazione della Germania, ha dato 6 miliardi alla Turchia per bloccare la via balcanica dell’immigrazione? Siccome in politica il tempo non è una variabile indipendente, quella era l’occasione giusta – dato che si davano soldi a uno Stato extraeuropeo senza fare altrettanto con i paesi comunitari come Grecia e Italia, ai quali si consente solo di fare più debito – per mettere i puntini sulle i e chiedere parità di trattamento tra un Paese comunitario e uno extracomunitario.
Come cambiare l’Europa allora senza urlare?
Quando si parla di Europa e delle sue lentezze, della sua burocrazia, bisogna chiedersi: il legislatore europeo chi è? È il consiglio di capi di Stato e di Governo, quindi è estremamente serio ricordare che l’Europa non è un soggetto lontano, siamo noi. Siamo anche noi, con il nostro Governo. A mio giudizio i Capi di stato dovrebbero mettere nell’agenda europea alcune grandi questioni, prima tra tutte la riforma dei mercati finanziari.
Perché questa questione andrebbe messa al primo posto?
Vede, la vittoria di Trump altro non è che l’ennesima rivolta popolare contro l’establishment. Si è affacciata in Grecia, in Spagna e anche in Italia con il Movimento 5 Stelle. Il punto è che c’è un’incapacità delle forze politiche tradizionali nel dare una risposta alle questioni fondamentali che caratterizzano la nostra stagione. La prima delle quali è la devastazione che nelle società occidentali sta determinando il capitalismo finanziario. Una devastazione che è tipo economico e sociale.
Come si concretizza questa devastazione?
Mediante lo spostamento della ricchezza verso prodotti finanziari che hanno profitti irragionevoli. Tutto questo a spese dell’economia reale. Ciò determina una disuguaglianza sociale con l’impoverimento di massa e la creazione di una ricchezza elitaria. Lo abbiamo visto, ad esempio, anche durante la recessione in Italia: la povertà è aumentata, ma sono cresciuti anche i milionari. A ciò si aggiunge il fatto che sui mercati finanziari agiscono pesantemente fondi speculativi occidentali e fondi sovrani orientali. In atto c’è dunque uno spostamento della grande ricchezza internazionale che nell’Occidente va a un’elite di privati e nell’Oriente va a rafforzare stati che certamente non brillano per il loro assetto democratico. In questo quadro, quindi, l’Europa diventa ancora più debole.
Tornando alla riforma europea dei mercati finanziari, quali interventi dovrebbe contenere?
Si possono certamente indicare alcuni “punti base”. Il primo è l’eliminazione della vendite allo scoperto, diventate ormai uno strumento che favorisce ribassisti e speculatori. Il secondo è l’eliminazione dei mercati non regolamentati. Occorre poi far sì che i prodotti finanziari siano fatti circolare solo tra investitori istituzionali e non affidati al mercato retail del sistema bancario.
Come mai ritiene necessaria questa modifica?
Perché spesso il risparmiatore non è nelle condizioni e con le giuste competenze per valutare questi strumenti. Inoltre, si finisce anche per “dirottare” risparmi che sarebbe meglio indirizzare verso l’economia reale. E in questo senso un altro intervento importante sarebbe quello di varare politiche fiscali normative che consentano di far emergere una convenienza nell’uso produttivo del capitale piuttosto che in quello finanziario. Oltre al ritorno di una divisione chiara e netta tra banche commerciali e banche d’investimento. Per chiudere, vorrei solo mettere in chiaro una cosa.
Prego.
Riformare i mercati finanziari, non vuol dire eliminare la finanza, perché essa è essenziale. Il punto è che non deve essere, come è diventata, un’industria a sé stante. Questo, infatti, fa male e determina problemi sociali come le enormi disuguaglianze di cui ho parlato poco fa, le quali stanno alimentando movimenti alternativi a tutti i governi.
(Lorenzo Torrisi)