Venerdì, il Presidente del Consiglio, trafelato per la sua infinita campagna elettorale, è giunto nella sala stampa di palazzo Chigi per presentare un bilancio dei suoi mille giorni di governo. Non è chiaro se il riferimento fosse al libro, più volte ristampato, di Arthur James Schlesinger jr. “A Thousand Days: John F. Kennedy in the White House” o al successo editoriale degli ultimi dieci “Book of a Thousand Days” di Shannon Hale. Il primo è un racconto puntuale dell’Amministrazione Kennedy da parte di uno che l’ha vista e vissuta da vicino. Il secondo una favola per bambini grandi e piccoli basata su alcune delle novelle dei Fratelli Grimm, ossia un fantasy di cassetta, ma scritto con estrema perizia.



È probabile che Renzi, troppo preso tra scuotismo e politica, non abbia letto né il voluminoso libro di Schlesinger, né quello, più breve ma appassionante, della Hale. Tuttavia, la sua narrativa dei mille giorni è un misto dei due: un’abile interpolazione di dati e interpretazioni tale, però, da spiegare anche le sue recenti polemiche con la autorità dell’Unione europea, specialmente la Commissione.



Andiamo con ordine, ricordando che al momento dell’insediamento come Presidente del Consiglio, Matteo Renzi aveva indicato come priorità la ripresa economica e l’occupazione, e raffrontando la sua narrativa dei mille giorni con i commenti de Il Sole 24 Ore,quotidiano che gli è stato al fianco dal primo giorno e la cui proprietà – cosa mai avvenuta in Italia – si espressa, come un sol uomo, a favore del Sìal referendum costituzionale.

Il Presidente del Consiglio si vanta che il “suo” Governo (in passato si parlava di “Governo dell’Italia”) ha rivoltato il potenziale di crescita del Paese facendo svoltare il ciclo economico e segnando un aumento del Pil dell’1,6% dopo dieci trimestri consecutivi di recessione. Omette, però, di ricordare che nello stesso periodo la crescita media dell’eurozona è stata del 5%, ossia che siamo stati il fanalino di coda dell’area dell’euro. Se dopo la vera o presunta “svolta” non si accelera il passo, solo nel 2027-28 l’Italia avrà un Pil (a prezzi costanti) analogo a quello del 2007. Un ventennio perduto.



Altro elemento di gloria sarebbe l’incremento di occupati stabili: 487.000. In effetti, c’è stato un forte aumento nel 2015 grazie ai forti sgravi tributari e contributivi. Nel 2016 la crescita è diminuita e negli ultimi 4-5 mesi è in forte frenata. Inoltre, la disoccupazione giovanile è al 37% della forza lavoro nel pertinente scaglione di età. E lo stesso Governo propone di dare alle Regioni del Sud uno sgravio analogo a quello di cui nel 2015 ha fruito tutta Italia – operazione a cui in passato si è sempre opposta il resto dell’Ue (ci sono sentenze in materia della Corte di Giustizia Europea) in quanto aiuto di Stato.

Nei “suoi” mille giorni si sarebbe anche ridotto (di 43 miliardi) il debito pubblico. Sarebbe comunque un’inezia rispetto a un debito pubblico pari 2.215 miliardi. Quello che però conta non è tanto il valore assoluto, quanto il suo rapporto con quanto l’Italia produce, consuma e investe, ossia il Pil. Nel Def di aprile si prevedeva che nel 2017 il rapporto debito/Pil avrebbe raggiunto il 130,9%, mentre l’aggiornamento di ottobre stima che sarà il 132,6%. Quando l’Italia ratificò il Trattato di Maastricht avevamo un rapporto del 102% circa e ci impegnammo a portalo al 60% entro l’inizio di questo secolo. Ci siamo anche impegnati con il Fiscal compact e con una legge costituzionale rinforzata di raggiungere il pareggio strutturale di bilancio entro il 2014. Impegni che nei mille giorni sono stati procrastinati sine die. E il debito è molto sensibile ai tassi d’interesse (che si profilano in aumento).

Sarebbero anche aumentati i consumi delle famiglie grazie agli 80 euro e simili. Indubbiamente, l’allentamento dei vincoli di bilancio ha spinto i consumi finali, ma il loro livello (a parità di potere d’acquisto) è ancora inferiore a quello del 2012. E ciò “morde” sulle famiglie. Il Presidente del Consiglio lo sa e anche per questo polemizza con i “lacci e laccioli” delle Ue e della sua macchina amministrativa, sperando di togliere, all’ormai imminente referendum, qualche voto agli anti-europeisti. Tanto più che il 19 novembre l’eurobarometro ha indicato che il nostro è il Paese dell’Ue meno soddisfatto dell’integrazione europea. Mossa tardiva. Sarebbe stato meglio chiudere il discorso sui mille giorni con toni meno compiaciuti e dire come Tevye, il protagonista della celeberrima commedia musicale e film: “Di questi risultati non ci si deve vergognare , ma non si può neanche esserne orgogliosi”

Leader ed euroburocrati, nel frattempo, siedono sulle rive della Schelda. In attesa.