UniCredit fa notizia quotidianamente, anche più di una volta al giorno (giovedì sera la Consob ha chiesto al gruppo una faticosa smentita dell’ennesima raffica di voci in un continuo salsicendi del titolo in Borsa). L’ammontare di un aumento di capitale che i rumor fanno lievitare ormai ben oltre i 10 miliardi. Il volume dei crediti deteriorati (Npl, si dice 20 miliardi) che la Bce sta imponendo a UniCredit di smaltire in tempi definiti e la sua ricaduta in temini di pulizia-perdite (fino a 8 miliardi?). Lo stato effettivo delle trattative per la vendita dei gioielli: la Bank Pekao (3,5 miliardi al polo assicurativo statale polacco Pzu) e la piattaforma di asset managemnet Pioneer (contesa fra Poste Italiana e la francese Amundi, si dice sopra quota 3,5 miliardi). Nell’ultima settimana si sono aggiunte anche le indiscrezioni di possibile fusione con il colosso francese Société Générale. La soluzione del rebus, peraltro, non è vicina.



L’amministratore delegato Jean Pierre Mustier ha messo in calendario la presentazione del nuovo piano strategico soltanto per il 13 dicembre: dopo, quindi, il referendum italiano. Dopo, quindi, almeno altre due settimane in cui lo spread italiano continuerà ad avere un suo motivo principale per andare sotto pressione, oltre alle nuove incertezze portate sui mercati dall’effetto-Trump. Ma nelle prossime due-tre settimane farà notizia ogni giorno, anzitutto, l’impervio cammino dell’aumento-salvataggio di Mps. E non mancherà la cronaca, altrettanto accidentata, riguardante Atlante e le due Popolari venete e la vendita delle quattro banche risolte un anno fa. Non è difficile capire perché l’attenzione di mercati e regolatori si stia facendo più spasmodica, mano a mano che l’esito del referendum preoccupa i mercati e anzitutto l’aumento Mps pare a rischio.



Riuscirà una banca che vale poco più di 10 miliardi al listino a chiederne forse 15 di nuovi capitali? Chi fra gli attuali azionisti stabili e di mercato vorrà o potrà sottoscrivere la ricapitalizzazione e quali soggetti emergeranno eventualmente come nuovi soci-guida? Le Fondazioni bancarie italiane, ad esempio, controllano assieme ormai meno del 10% e solo per mantenere tale posizione dovrebbero sborsare fra 1-1,5 miliardi: un cifra proibitiva, tanto più che proprio il caso Mps ha dimostrato come una doppia iniezione di 8 miliardi di mezzi freschi (perduti per chi li ha investiti) non siano stati sufficienti a tenere a galla il gruppo. Anche i soci privati italiani (fra tutti Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone) difficilmente potranno essere decisivi nella riuscita dell’operazione. Più rilevanti, alla fine, promettono di essere i fondi di mercato: alcuni rappresentati in consiglio (come l’emiratino Al-Aaabar), alcuni totalmente istituzionali, come Capital Research.



Su tutto, in ogni caso, risuona l’assoluto silenzio di Allianz: il gigante assicurativo tedesco che di UniCredit è partner storico. Il gruppo bavarese, oltre alle quote detenute in proprio e dai fondi gestiti, è soprattutto il rappresentante della Germania sulla tolda di comando di un polo bancario che – dopo la fusione con HvbBankAustria – ha una parte rilevante dei suoi attivi e dei suoi dipendenti in una granbde area di lingua tedesca. Quale sia il punto di vista dell’Azienda-Germania sul futuro di UniCredit e sulle mosse di Mustier resta comunque ancora del tutto oscuro. Con alcune domande che non solo non hanno risposta ma non vengono neppure formulate.

La prima è: quanti dei 20 miliardi di Npl che la Bce “rigorista” vuole siano svalutati/venduti da UniCredit sono stati generati sul mercato tedesco? La seconda: quanto il sistema-tedesco è disposto a re-investire in una infastruttura bancaria del proprio territorio? È la stessa Germania che rifiuta – a livello di sviluppo dell’Unione bancaria – di perfezionare il sistema di garanzia condivisa dei depositi bancari. L’ultima questione è la più “sommersa”, ma forse non la meno rilevante. Se i mercati cominciano a interrogarsi seriamente sulla praticabilità di un “piano B” come la fusione UniCredit-SocGen, perché dovrebbe restare fuori dal tavolo un riassetto del gruppo italo-tedesco che interessi Hvb e BankAustria? Ma forse un’ipotesi di risposta è: perché lo scorporo di parte delle attività in Austria e Germania (per esempio verso qualche banca tedesca) è incluso nello schema preliminare Uni-SocGen. E sarebbe brutalmente comprensibile perché il prezzo di UniCredit sia sta indebolendo in Borsa.