Altro che “dipende dal 4 dicembre”. Dipende da fine gennaio, quando la Banca centrale europea dovrebbe rendere noti gli esiti dell’indagine che ha aperto sul Monte del Paschi di Siena e i suoi conti: questa è la verità sull’istituto che trapela dalla battuta sfuggita ieri a Marco Morelli, amministratore delegato dell’istituto senese, quando in assemblea degli azionisti ha detto: “La riuscita del piano dipende anche dall’atteggiamento che la Vigilanza ha nei confronti della banca”. Ovvio, no? E allora perché rimarcarlo?



Semplice: perché dall’esito dell’ispezione che la Bce ha in corso al Monte il mercato aspetta di sapere se quei 27 miliardi di sofferenze dell’Istituto – rispetto ai quali l’aumento di capitale fino a 5 miliardi deliberato ieri potrebbe anche, forse e se ben gestito, bastare – sono tutti oppure se c’è dell’altro. Stravagante l’atteggiamento della Bce, che da una parte fa pressioni perché l’Italia trovi soluzioni rapide per il Monte e dall’altra, ispezionandolo proprio adesso, pregiudica il reperimento di queste soluzioni: ma tant’è, a Francoforte non solo non fanno sconti, ma in realtà stanno dando filo da torcere ai banchieri europei in genere anche al di là dei loro pur gravissimi torti.



“Non faccio l’indovino”, ha quindi detto Morelli, rispondendo alla domanda di un azionista preoccupato che questi ulteriori 5 miliardi potessero rivelarsi insufficienti, dopo gli 8 già inutilmente pompati nelle casse del Monte negli ultimi due anni senza esito: “Una serie di cose non dipendono da noi. L’operazione è legata a un deconsolidamento delle sofferenze che in questa misura non ha mai fatto nessuno. È evidente che continueremo ad avere flussi di nuove sofferenze, ma le gestiremo con una base di partenza di bilancio molto diversa”.

In realtà, per carità di patria, bisogna “fare il tifo” per il buon esito del salvataggio Mps: un flop scatenerebbe conseguenze feroci su tantissimi soggetti incolpevoli, salvo colpire i veri responsabili del dissesto di ieri e della gestione pasticciata – a dir poco – di questo tentativo di soluzione.



Sforzandosi di non mettersi sullo stesso piano di Renzi e dei suoi supporter, che stanno strumentalizzando qualsiasi problema – Mps compreso – per porsi come panacea e aggiungere argomenti alla loro propaganda elettorale per il “sì”, bisogna perciò guardarsi dall’auspicare che una vittoria del “no” pregiudichi la già palese debolezza delle soluzioni presentate dal nuovo vertice del Monte.

Resta comunque il fatto che un istituto per anni profondamente inefficiente, che negli ultimi due ha bruciato 8 miliardi di capitali freschi, che è guidato da un manager imposto dalla banca d’affari cui il governo ha affidato, senza gara e al di là di ogni corretta e trasparente procedura di selezione, un piano di salvataggio che se funzionasse porterebbe quella banca a intascare un compenso favoloso… ebbene, è chiaro che l’istituto avrebbe dovuto segnalare al mercato l’ispezione in corso da parte della Bce, anziché lasciare che trapelasse come un’indiscrezione. Un intervento del genere non è e non può essere, diversamente da quanto ha detto Morelli, “di routine”. È come dire che la Tac a un malato di cancro sia “di routine”. La Tac in sé può esserlo, ma la condizione patologica del soggetto a cui viene fatta rende cruciale ogni nuovo accertamento.

“È evidente”, ha detto ancora Morelli ieri, “che continueremo ad avere flussi di nuove sofferenze”, ma le gestiremo con una base di partenza di bilancio molto diversa”. Tradotto: perderemo altri soldi oltre a quelli previsti, ma sapremo dove andarli a pescare. E fino a che punto?

In questo senso, il lancio della ricapitalizzazione sia nell’entità che, soprattutto, nei termini nei quali è stata lanciata rappresenta in qualche modo un “azzardo morale”, nato concitatamente anche per tener dietro agli auspici governativi, tanto più che, col suo 4% sul 22% del capitale presentatosi a votare ieri in assemblea, il governo oggi detiene il 20% dei voti nella banca ed è a tutti gli effetti il socio di riferimento. 

La conversione volontaria delle obbligazioni subordinate in azioni per almeno due miliardi da parte del pubblico indistinto rappresenta in questo contesto nebbioso un’altra incognita. Riuscirà? Si fermerà a 1 miliardo solo, come pronosticano i più?

Un’altra ragione per la quale i 280 investitori sondati da Morelli & C. rispetto al necessario aumento di capitale si sono tenuti prudenti e, a oggi, non hanno firmato alcuna impegnativa. Se su 280 soggetti, a quel che è stato loro presentato, nessuno ha risposto con un “sì”, qualcosa di inquietante ci sarà, oltre quanto già tristemente noto. Qualcosa di dubbio: ed è appunto ciò su cui indaga la Bce, altro che routine.

Infine, una menzione la merita una battuta del presidente uscente Tononi: “Siamo aperti a qualunque proposta ma nessun altro progetto potrebbe funzionare meglio del nostro”, ha detto. Un ossimoro, del genere: “Si fa credito solo ai novantenni, purché accompagnati dai genitori”.