Manca una settimana al referendum costituzionale. Da diverse parti si studiano e analizzano le conseguenze di una vittoria del Sì o del No, anche dal punto di vista economico. Secondo Francesco Forte, ex ministro delle Finanze, in queste analisi si dimentica un particolare di non poco conto: «Che vinca il Sì o il No, ci sarà da fare una manovra correttiva. E se il referendum passerà lo si farà nelle condizioni peggiori».
Un momento Professore, perché ci dovrebbe essere una manovra correttiva?
Nel valutare le conseguenze del voto ci si sta dimenticando di una variabile esogena internazionale, che non c’entra nulla con il referendum. La vittoria di Trump negli Stati Uniti ha generato infatti una sorta di euforia del mercato americano, con Wall Street che fa segnare record su record. Visti gli annunci del neo presidente, ci si attende che l’area economica del dollaro segni un’espansione. Si è creata una situazione in cui conviene comprare i titoli americani e vendere i nostri, che hanno un rendimento minore e sono più rischiosi.
Dunque questa manovra che ci toccherà fare è “colpa” di Trump?
Probabilmente si sarebbe dovuta fare comunque, perché il rialzo dei tassi americani ci sarebbe stato. Il punto è che la vittoria di Trump è come se avesse accelerato questo processo e dunque la manovra andrà fatta in modo rafforzato e anticipato perché coi tassi in risalita torna a essere evidente l’eccessivo debito pubblico in rapporto al Pil dell’Italia.
Di quale entità dovrebbe essere questa manovra correttiva?
Dello 0,2-0,3% del Pil. Si tratta in buona sostanza di far capire che il deficit scende e che quindi il debito pubblico inverte la sua rotta. Basta un piccolo segnale, così da evitare problemi sia con i mercati che con la Commissione europea, che ancora non ha dato una pieno via libera alla Legge di bilancio italiana.
E perché secondo lei se vincesse il Sì ci troveremmo in una situazione peggiore?
Perché per fare questa manovra correttiva Renzi dovrebbe rimangiarsi un po’ delle promesse fatte. Senza dimenticare che in questa campagna elettorale sta logorando i rapporti con la minoranza del suo partito e quindi il suo Governo potrebbe uscirne indebolito. Come pure lo stesso Premier una volta che si ripresentasse alle urne dopo aver “ritirato” alcune delle sue “mance”.
E se vincesse il No, invece, cosa accadrebbe?
Secondo me Renzi non dovrebbe dimettersi, anche se potrebbe essere tentato di farlo proprio per lasciare a qualcun altro il compito di varare la manovra correttiva. Potremmo a quel punto avere un governo di larghe intese di transizione oppure un esecutivo tecnico.
In questo senso proprio il Premier ha ricordato che l’ultimo governo tecnico ha alzato le tasse. Quindi forse non sarebbe un bene se vincesse il No…
Il punto è che questo esecutivo non dovrebbe fare cose eccezionali o mettersi in testa di farlo come è accaduto con Monti. Bisognerebbe fare quei “ritocchi” che gli possono essere suggeriti da Commissione europea e Bce per ridurre il nostro debito. Una piccola manovra correttiva, che si può fare in vari modi, archiviando alcuni dei bonus inventati da Renzi, o anche solo posticipandoli.
Non ci sarebbero altre conseguenze economiche se la riforma venisse bocciata?
Credo che la situazione non vada sopravvalutata. Penso che non ci sia nessun vero rischio. L’unico rischio l’ha creato Renzi drammatizzando in modo erroneo il voto, sostenendo che se vincesse il No ci sarebbe un’incognita. Non è vero: l’incognita dipende solo dal fatto che il Premier fa intravvedere le sue possibili dimissioni. Cosa interessa ai mercati se noi cambiamo o meno la nostra Costituzione? A loro interessa sapere se l’Italia è solvibile o no. E il problema è che in questo momento abbiamo un eccesso di debito su Pil che non tende a scendere e un deficit che quindi va corretto.
La situazione internazionale che in questo momento ci sta creando dei problemi è destinata a durare?
Credo si tratti di un fenomeno transitorio. Se poi l’America si stabilizza e si verifica un rialzo di tassi in regime di espansione economica (Trump sembra determinato a dar vita a una politica espansiva economica, non puramente monetaria), noi abbiamo tutto da guadagnarci. Quindi si tratta di attraversare un momento di transizione che non c’entra nulla con il referendum.
(Lorenzo Torrisi)