Sempre più vecchi a fare la spesa per restare abbarbicati alla vita. I giovani abituati alla spesa per vivere la vita. Quelli delle imprese che del prendere rischi si vantano e li assumono spendendo. Quelli che pur di spendere ingrassano, vestono alla moda che passa di moda e che per andare da qui a lì hanno preso un Suv. Quelli, infine, che vogliono poter spendere per poter fare altrettanto. Essi, al mercato stanno tutti belli tonici; in forma per poter dar corso virtuoso al ciclo economico. Prendono fiato, scaldano i muscoli, insomma si attrezzano all’uopo.
All’uopo? Massì, ci sono pressappoco 1.600 miliardi di euro per assoldarli. Quella ricchezza, misurata dal Pil, pronta all’uso per generarne non altrettanta, di più. Proprio quella ricchezza, generata dalla spesa aggregata, che viene trasferita dall’impresa ai soggetti del ciclo, remunerando il capitale e il lavoro. Orsù gente, s’ha da correre. Pronti, Via!
Pronti? I giovani che studiano non lavorano, poi ci sono i neet che non fanno né l’uno né l’altro; molti hanno lavori precari, moltissimi invece sono disoccupati. Quelli non costretti dal bisogno, più che spendere risparmiano; quelli invece affamati di tutto, hanno poco da spendere. I rischianti, visto l’andazzo, danno un taglio al rischio; seppur assoldati, si fanno renitenti alla spesa per quegli investimenti in conto capitale. I benestanti, seppur volenterosi, non ce la fanno a spender tutto. Lo Stato vedrà ridotto il prelievo fiscale per fare la spesa pubblica, pure quella per le pensioni di quegli arzilli vecchietti.
Via? Si, via della misericordia. Già, il Mic (Misery Index Confcommercio) di settembre si è attestato su un valore stimato di 18,9 punti, in aumento di due decimi di punto rispetto ad agosto. Il peggioramento è imputabile principalmente alla componente relativa ai prezzi di beni e servizi ad alta frequenza d’acquisto.
Signori trasferenti, per veder correre gli iscritti al ciclo occorre integrare l’insufficiente trasferimento di ricchezza sui redditi di lavoro nella produzione, con quello del lavoro di consumazione che, guarda caso, smaltisce l’altrimenti invenduta produzione.