In attesa che l’esito del voto referendario determini il futuro del Monte dei Paschi di Siena, della processione degli equinozi e della peronospera della vita, nel sistema bancario serpeggia qualche inquietudine di consistenza più rilevante sui rischi futuri che si addensano sulle delle aziende creditizie in Europa alla luce di quanto i cosiddetti “regolatori” stanno architettando. Sorprendendo qualcuno che lo odia, ma per fortuna non i più che lo stimano, è stato Mario Draghi – presidente della Bce e autore del “Quantitative easing” che è l’unico fattore ad avere il merito della ripresina economica italiana, e non certo il Jobs Act – a farsene carico.
Lo sottolinea in un suo scritto il segretario generale dell’Associazione banche popolari Giuseppe De Lucia, uno che da sempre è collocato su posizioni diverse da quelle di Draghi, e quindi non può essere sospettato di piaggeria. Draghi, scrive De Lucia, nel corso del recente European Banking Congress a Francoforte, intervenendo sullo stato dell’economia e del sistema bancario e stato molto chiaro: “È venuto il momento di finalizzare l’agenda dei regolatori e di entrare in un periodo di stability”. Tradotto dal gergo indecifrabile dei banchieri centrali, “finalizzare l’agenda” significa imporgli di piantarla di riscrivere le regole ogni sei mesi e far impazzire i regolati. “Il focus dovrebbe essere sull’attuazione e non su nuove misure” e “le misure di regolamentazione dovrebbero essere applicate in modo equilibrato così da assicurare regole uguali per tutti a livello globale e anche se sono possibili aggiustamenti marginali, non si dovrebbe tornare indietro su quanto si è già deciso”.
Ma perché, cosa teme Draghi? E a chi si riferisce? Le bestie nere del presidente della Bce, che lui non esplicita ma sono chiare a tutti gli addetti ai lavori, sono due: la prima è la sua vicepresidente, che ha però delega autonoma sulla materia della vigilanza bancaria e la esercita con un accanimento ideologico che sta sconquassando il mercato: Danielle Nouy; l’altra – e principale – è il Comitato sulla supervisione bancaria di Basilea, quello che ha già scritto le famigerate regole di attività bancaria denominate “Basilea 3” e che ne prepara una quarta edizione. “Sarebbe l’ennesima rivoluzione normativa degli ultimi 10 anni dopo Basilea 2 e 3”, sintetizza De Lucia: “Il Comitato di Basilea, infatti, malgrado le autorevoli e sempre maggiori posizioni contrarie, sembra intenzionato, a fine mese a Santiago del Cile, a varare un nuovo modello di rischio standardizzato da utilizzare per valutare l’affidabilità di ogni cliente nel momento in cui questo chiede un finanziamento. Questo modello di rischio vieterebbe il ricorso a sistemi flessibili in grado di determinare e apprezzare le caratteristiche particolari del mercato di riferimento e quelle dell’affidabilità di ciascun cliente. Un sistema esclusivamente teorico. Una sofisticazione matematico-statistica estrema che, paradossalmente, non può portare neanche ad un controllo del rischio credito effettivo e ottimale”.
Obiettivo sostanziale di una simile norma? Quello di togliere discrezionalità alle banche, ridurle a mere “robot” del credito: chi ha i parametri numerici, prende i soldi, chi non li ha niente, pur avendo magari altri requisiti più interessanti, come brevetti tecnologici o licenze commerciali strepitose.
“Le conseguenze del modello in discussione – di questo sembra essere giustamente preoccupato Draghi – sarebbero negative per l’intero sistema economico, andando a colpire soprattutto le piccole e medie imprese, in particolare quelle senza rating, alle quali l’accesso al credito sarebbe, di fatto, precluso”. Regole ancora più stringenti delle attuali sulla ponderazione del rischio di credito, infatti, avrebbero l’effetto che, per erogare un prestito a una piccola o media impresa, soprattutto se di nuova costituzione, la banca sarebbe costretta ad accantonamenti ancora più elevati al punto da risultare proibitivi, con la diretta conseguenza della contrazione dell’operatività della banca stessa e quindi del numero delle operazioni di finanziamento.
“Gli istituti bancari (…) dovrebbero deliberare nuovi aumenti di capitale ovvero l’emissione sul mercato di altri strumenti finanziari. Una vera e propria spirale negativa i cui effetti deleteri ricadrebbero prima di tutto sull’economia reale producendone ancora contrazione proprio ora che le condizioni del credito sono migliorate soprattutto per le piccole e medie imprese – sempre secondo Draghi – grazie alla politica dei bassi tassi d’interesse della Bce e alle ‘nuove’ regole, quelle già esistenti, che hanno reso il settore bancario più robusto in termini di capitale, di leva finanziaria, di raccolta e di capacità di assumere rischi”.
Quindi, contro gli Stranamore di Basilea, oltre al Parlamento europeo è ora schierato anche Draghi, conclude De Lucia: “Il problema oggi – sempre citando il capo della Bce – è più legato alla redditività (delle banche, ndr) che alla robustezza dei bilanci dato che la copertura degli Npl (non profit loans, cioè le sofferenze) con accantonamenti è vicina al 50% e ci sono garanzie reali sulla maggior parte del resto”. Come dire: oggi il patrimonio delle banche è stato adeguato agli impieghi, ma l’attività creditizia è già stata talmente compressa dalle regole che si sta riducendo al lumicino e non permette più di generare reddito. In questo modo l’azienda-banca languisce e si spegne, pur essendo ricca. Che senso ha?