“Le tecnologie sono centrali per semplificare il rapporto con il cittadino, ed è fondamentale investire in quest’ambito, pena la decrescita del Paese. Mi piacerebbe uno Stato 4.0, o per essere più precisi, una Pubblica amministrazione 4.0”: parole sante, pronunciate da Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, in questi giorni caldissimi di dibattito sulla legge di bilancio. Ma c’è qualcosa che lascia perplessi, non nelle affermazioni in sé, ma nel contesto. Come ha definitivamente accertato il World economic forum dello scorso anno, nel documento “Il futuro del lavoro”, nei prossimi anni “fattori demografici e tecnologici porteranno alla creazione di 2 milioni di posti, ma alla sparizione di altri 7 (4,8 nelle aree amministrative e 1,6 nella produzione), con un saldo negativo di 5 milioni di posti di lavoro in meno nel mondo”.



Capito? Si perderanno nel mondo quasi 5 milioni di posti di lavoro solo nelle aree amministrative! E allora, è lecito chiedersi: come impatterà la digitalizzazione della Pubblica amministrazione italiana, notoriamente sotto-digitalizzata e altamente inefficiente, sull’organico dei quasi 4 milioni di dipendenti statali che attualmente percepiscono lo stipendio dallo Stato e dagli enti locali ogni 27 del mese per un totale di 164,26 miliardi di spesa pubblica annua?



Questa domanda-chiave lo Stato non può non porsela, prima di agire: non dovrebbero non porsela neanche i privati che stanno cercando di attrezzare le loro aziende con Industry 4.0: ma se poi non se la pongono peggio per loro e per i loro dipendenti. Lo Stato, invece, che legifera e vive delle tasse di tutti i cittadini, è obbligato a procedere con logiche e metodi diversi e più prudenti di quelli dei privati.

In effetti, anche Padoan è contagiato dall'”annuncite” cronica che affligge il governo, su livelli mai conosciuti nemmeno dal peggior Berlusconi. La digitalizzazione della Pa è inderogabile e indispensabile, ma non va presentata come il Bengodi, né come il Toccasana. Risolverà molti problemi, ma molti altri né farà sorgere. Oltretutto, è già cominciata – anzi, recentemente l’amministratore delegato dell’Ibm Italia Enrico Cereda ha affermato che in molti sensi lo Stato è più avanti dei privati nella digitalizzazione -, ma si trova ancora nella fase in cui non sono stati investiti gli equilibri occupazionali!



In una recente intervista, il ministro della Pa Mariana Madia ha detto che “il digitale nella Pubblica amministrazione serve lo stesso obiettivo: liberare il tempo e le risorse delle persone, consentendo loro di lavorare e vivere meglio. Non dunque un obbligo per gli addetti ai lavori, ma un’occasione per ridare alle persone il tempo per lavorare, per fare impresa, ma anche semplicemente per vivere più liberamente”. Anche qui: giusta analisi, ma va integrata con la considerazione che nel mondo reale, in qualsiasi azienda, l’espressione “liberare tempo” precede di poco la sua logica conseguenza: “ridurre la forza lavoro”. 

È quel che sta succedendo nelle banche. Dieci anni fa tutte le banche hanno digitalizzato l’accesso dei clienti ai loro servizi bancari di sportello aprendo le funzioni di home banking telematico, per cui ciascuno di noi oggi si fa da casa sua al computer o dallo smartphone i suoi bonifici e i suoi pagamenti. E oggi giustamente Matteo Renzi, il “principale” di Padoan e Madia, dice che la metà dei 320mila dipendenti bancari italiani “è di troppo”. Per gli statali italiani si profila la fine che faranno i bancari? E che stanno facendo i giornalisti? Categorie falcidiate dal digitale? 

Dice la Madia: “Il nostro obiettivo si chiama Italia Login: un sistema che consente a ogni cittadino per via digitale di ricevere i servizi, di adempiere agli obblighi (abbiamo solo iniziato con la dichiarazione precompilata), di scambiare informazioni con la Pubblica amministrazione. Oggi solo il 30% degli italiani usufruisce dei servizi online delle amministrazioni. Vogliamo far crescere questo numero in quantità, ma soprattutto in qualità”.

Senza andare nei dettagli: è la stessa sacrosanta logica dell’home banking bancario. Bene. Serve un certificato di nascita? Ci si siede al computer di casa, o si accende lo smartphone, si digitano dei tasti, si paga qualcosa con la carta di credito o con Paypal e si ottiene quel che serve. Prima (anzi nel 70% dei casi ancora oggi), tutto questo lavoro lo faceva un impiegato statale, che non servirà più. 

I benpensanti positivisti anti-gufi dicono, a questo punto, che l’impiegato liberato dall’onere di fare il nostro certificato potrà essere riconvertito a fare altre cose più gratificanti. Evviva. E in concreto? Accetterà di fare il vigile urbano, visto che ce ne sono troppo pochi, soprattutto in strada e che persino nella civilissima Milano ci sono solo 19 vigili su 100 che fanno servizi in strada mentre gli altri 81 stanno in ufficio a fare cose che presto potranno essere digitalizzate? Proviamoci: questa sì che sarebbe una buona idea, ricordiamocelo quando i vigili sciopereranno per restare al calduccio in ufficio a fare nulla.

Sarebbe anche in atto – ricordiamocelo – un processo analogo, ma più semplice a quello cui allude la ministro Madia: la riconversione dei dipendenti delle ex province. Sarebbe in atto, perché nei fatti non lo è. Non è stato fatto niente. E sta iniziando ad agitarsi lo spettro della mobilità su almeno 100mila dipendenti delle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche che la riforma Madia (peraltro giustamente) vuole accorpare o chiudere o vendere. La parte rognosa delle riforme rottamatrici non la vuol gestire nessuno.  

Altra questione, marginale rispetto alla prima ma irritante. Giustamente la Madia ricorda che la digitalizzazione della Pa sta già producendo effetti validi, come la fatturazione elettronica obbligatoria o le 20 milioni di dichiarazioni dei redditi precompilate. A parte le imprecisioni eccessive dei primi tempi, comprensibili ma… – questa migrazione dall’analogico al digitale va resa il più fluida possibile e non c’è stata su questo fronte la necessaria attenzione, per cui imparare a fatturare elettronicamente, che dovrebbe essere agevole come bere un bicchier d’acqua, è a oggi un impegno assorbente. 

Le riforme sono pentole cui va fatto anche il coperchio. Brutto mestiere che non piace a nessuno. La regola vale anche per la digitalizzazione. Se è da gufi ricordarlo, viva i gufi.