Era il 4 giugno 2008 quando veniva pubblicata questa notizia: «Borsa Italiana ha deciso di sospendere dalle negoziazioni, fino a successivo provvedimento, le azioni ordinarie di Alitalia, le obbligazioni convertibili e i relativi strumenti derivati. Lo comunica palazzo Mezzanotte. Ieri una nota Consob anticipava che la Commissione e Borsa Italiana stavano valutando la possibilità di sospendere Alitalia in borsa dopo la pubblicazione del decreto approvato il 30 maggio dal governo, che prevede la privatizzazione della compagnia di bandiera in deroga alle norme sulla vendita di partecipazioni pubbliche e sulle informazioni di mercato». Direte voi, chissenefrega. Aspettate. Ieri, invece, la notizia era questa: «Raffica di sospensioni per il titolo Banca Monte dei Paschi di Siena a Piazza Affari. Il titolo, più volte in asta per eccesso di volatilità, ora ha riaperto e segna un calo del 3,66% a 0,2238 euro dopo un minimo intraday a 0,2146 euro. Gli scambi sono sostenuti: 54 milioni di pezzi pari all’1,84% del capitale. Sul titolo pesano le indiscrezioni di stampa sui feedback negativi degli investitori alla presentazione del piano di rafforzamento patrimoniale». Si chiama speculazione, pura e semplice. Peccato riguardi un soggetto bancario di primaria importanza per il nostro Paese e che veda coinvolto, più o meno direttamente, il governo e il denaro pubblico. Non sarebbe il caso di intervenire, cara Consob?
Viene da chiederselo sempre di più, soprattutto dopo l’abbandono polemico di Corrado Passera, il quale ha detto chiaro e tondo di aver trovato sempre la porta chiusa a qualsiasi opzione mettesse sul tavolo. Tanto più che sarebbero, infatti, state oltre 200 le risposte negative degli investitori alla presentazione del piano. Citata da MilanoFinanza, una fonte del consorzio di banche che si occupa del progetto di ricapitalizzazione da 5 miliardi della banca senese ha dichiarato che «per Mps sarà fondamentale vedere come va l’operazione di liability management (conversione di bond in azioni, ndr), solo dopo si avrà maggiore chiarezza, ma di certo con questi feedback ad oggi l’operazione non si fa». E per favore, non tiriamo in mezzo l’esito delle presidenziali Usa o del referendum costituzionale come scusa per dire che la volatilità del mercato non ha anche motivazione strettamente economiche e di interesse finanziario attorno al terzo istituto italiano: qualcuno con Mps ci sta giocando e, temo, facendo un sacco di soldi alla faccia di obbligazionisti e lavoratori del gruppo. Salvo poi, quando il precipizio sarà a un metro, magari comprarsela per un tozzo di pane.
Il silenzio su quanto sta accadendo è pressoché totale, ma se anche il road show – finora tra Londra, Doha e New York – andrà avanti per altre due settimane, prossima tappa in Asia, il mercato teme che l’aumento di capitale sia a rischio. Inoltre, giovedì Mps ha pubblicato la relazione pre-assemblea approvata il giorno prima dal cda e dal documento è emersa la possibilità che la banca possa eventualmente offrire la conversione in azioni anche ai possessori di titoli senior. Si chiama raschiamento del barile. O, se preferite, disperazione.
Soprattutto perché, durante la presentazione, l’amministratore delegato Morelli aveva confermato che il pool di titoli che saranno oggetto di offerta è di 5 miliardi, indirettamente confermando che l’obiettivo è coinvolgere solo i bondholder subordinati, istituzionali e retail. E attenzione, perché stiamo parlando di una ricapitalizzazione (fino a 5 miliardi di euro contro una capitalizzazione di mercato attuale di milioni di euro) necessaria a mantenere un buon livello di solidità patrimoniale, ma solo una volta completate la cessione e la cartolarizzazione delle sofferenze: nulla di certo, visto che su quest’ultimo aspetto occorrerà anche valutare l’esito delle ispezioni delle Autorità di Vigilanza, «che apre qualche rischio e fattore di incertezza in più in merito alla qualità dell’attivo del gruppo», avvertono a Icbpi.
Non so voi, ma trovo sconcertante che Mps e il suo destino vivano in un universo parallelo di road-show, speculazione sul breve e piani di ricapitalizzazione che non trovano un parere positivo nemmeno a piangere: il tutto, dopo un cambio di management tutto politico. E il problema è questo: politica e banche ormai sono inscindibili, non vivono l’una senza le altre e viceversa. E l’esempio ci arriva dall’Unione europea, la quale sta aumentando la pressione sui regolatori bancari perché allentino la morsa attorno alle nuove regole di capitale, la cosiddetta Basilea 4. Lo scopo? Formalmente, proteggere le banche da un ulteriore aggravio dei costi. Il Parlamento europeo alzerà la voce la settimana prossima nell’appuntamento di giovedì 10 novembre per dire che non intende accettare nuovi standard internazionali che richiedano riserve di capitali maggiori o esasperino le differenze tra Stati: il voto previsto è l’ultimo passo in una campagna portata avanti da politici e regolatori europei per modificare le regole che determinano come le banche valutino la rischiosità degli assets e di conseguenza di quanto capitale abbiano bisogno.
Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, i cui membri includono la Banca centrale europea e la Federal Reserve degli Stati Uniti, sta cercando di completare le nuove norme sui requisiti di capitale delle banche entro la fine dell’anno, ma la Commissione europea, braccio esecutivo dell’Ue, ha già chiesto di annullare le modifiche alle norme. In una bozza della risoluzione, il Parlamento sottolinea che la revisione dei requisiti patrimoniali del Comitato di Basilea dovrebbe rispettare la promessa di evitare un significativo aumento dei requisiti patrimoniali e garantire la parità di condizioni: «Siamo preoccupati del fatto che il pacchetto di riforme nella sua fase attuale potrebbe non essere in conformità con questi due principi di cui sopra e chiede alla Bce di assicurare il loro rispetto nel nuovo standard».
Posso essere d’accordo in linea di principio: mettere sotto ulteriore tensione patrimoniale le banche in un momento simile e con una nuova recessione Usa che colpirà entro la prossima estate, appare pericoloso. Occorre però anche raccontare l’altra pagina del libro, il più classico rovescio della medaglia.
Ieri mattina la Bce ha infatti diffuso alcuni dati interessanti sul comparto bancario e sapete cosa ne viene fuori? Nell’eurozona le banche sono sempre più piene di liquidità. Miliardi fermi che, nonostante una politica monetaria espansiva, non trovano sbocco nell’economia reale a causa di un’insufficiente spesa per consumi e investimenti. O, forse, per non volontà di erogare credito, a fronte di bilanci zoppicanti e perdite potenziali da coprire? Stando all’ultimo dato disponibile, quello di giovedì sera, le banche dell’eurozona avevano una liquidità in eccesso pari a 1.129 miliardi di euro, il nuovo massimo storico. Tra questi, anche 430 miliardi di depositi overnight delle banche commerciali presso la Bce, in questo caso il top dal 16 luglio 2012.
Giova ricordare che la Bce remunera il denaro depositato dalle banche commerciali al tasso annuo di -0,40%, quindi pur di non prestare e prestarsi soldi, le banche preferiscono perderci ma parcheggiare il denaro tra le tranquille mura dell’Eurotower. In condizioni economiche standard, l’eccesso di liquidità bancaria è sempre pari a zero, perché tenere i soldi fermi ha un costo per le banche, ma oggi viviamo nel meraviglioso mondo del Qe perenne, dei soldi a costo zero, dei titoli di Stato che campano con spread anestetizzato grazie al backstop della Banca centrale e con i bond corporate che possono tranquillamente evitare qualsiasi processo di price discovery reale, tanto se hanno l’investment grade garantito anche da un singolo soggetto, il buon Draghi compra e tu ti finanzi per poter operare.
Ma in cosa si opera? Buybacks azionari, ricapitalizzazione, gestione del patrimonio: non assunzioni, non ricerca e sviluppo, non ammodernamento delle strutture produttive. E il perché è semplice: perché le banche i soldi se li tengono, quindi da quando la Bce ha dato il via all’acquisto di bond corporate, le emissioni sono andate alle stelle, visto che si sono tramutate in strumento primario di finanziamento aziendale, una linea di credito di fatto illimitata e a costo zero. Capite perché se non si taglia di netto il cordone ombelicale, divenuto dal 2008 in poi una coda di drago, tra politica e banche/finanza, questo mondo è destinato a non vedere più crescita economica reale, né aumento della produttività? E più andiamo avanti con queste politiche, più difficile sarà il processo di deleverage una volta che termineranno o perderanno di intensità: se poi a dicembre la Fed dovesse davvero alzare i tassi, sarebbe un bagno di sangue.
E non è detto che non lo faccia: se fosse Donald Trump a spuntarla martedì prossimo, un aumento di un quarto di punto tra un mese non è da escludere. Perché a quel punto si creerebbe il combinato disposto di Fed che alza, Bce che potrebbe annunciare il Qe oltre il marzo 2017, sciopero generale in Grecia e il voto del referendum in Italia con lo spread a farla da padrone: la tempesta perfetta. E quando non si sa come uscire da una situazione esplosiva divenuta vicolo cieco, si ricorre quasi sempre alla ricetta di Schumpeter.