Oggi inizia la settimana in cui lo spread tra i nostro Btp e i Bonos spagnoli sarà l’indicatore da osservare con maggiore attenzione. Perché i Bonos e non i Bund tedeschi? La settimana scorsa il differenziale tra Btp e Bund ha superato i 160 punti di base, mentre quello tra Bonos e Bund ha toccato i 100 punti di base. Ciò vuole dire che i mercati internazioni vedono con più apprensione l’Italia di una Spagna che è stata per mesi senza Governo, che ha la fama (a torto o ragione) di essere meno sviluppata del nostro Paese, che è da poco uscita da una complessa crisi finanziaria e “bolla immobiliare”, che è tormentata da fibrillazioni separatiste. Se i mercati vedono l’Italia con maggior preoccupazione di quanto non vedano la Spagna non c’è da stare allegri. E occorre chiedersi perché.



La settimana che inizia oggi sarà senza dubbio caratterizzata da tensioni chiunque sarà il vincitore delle elezioni negli Stati Uniti, dato che nessuno dei due concorrenti pare esprimere il meglio di quanto possa offrire la società americana. Non rappresentano neanche la “mediocrazia” teorizzata da Fabian Michael Tassone e Dominique Lecourt, secondo i cui libri la politica (professione precaria ed ad alto rischio) non attira più the best and the brightest (i migliori e i più intelligenti, dal titolo dello studio di David Halberstam sulla squadra delle Amministrazioni Kennedy e Johnson sino alla guerra in Vietnam), ma solo chi è alla ricerca di facili guadagni e affamato di potere. I due candidati alla Casa Bianca sono forse l’espressione di quanto di peggio gli Stati Uniti possano offrire. Quale che sia il risultato, soprattutto se il vincitore avrà pochi punti di vantaggio sul vinto, ci saranno probabilmente accuse di brogli e forse nuovi conteggi dei voti in certi Stati. Come avvenne nel 2000, quando la vittoria di Bush junior venne decisa in tribunale oltre un mese dopo le elezioni. Quindi, l’incertezza dominerà le piazze internazionali.



In una situazione del genere, tutti i birilli balleranno, soprattutto i più deboli. Gli ultimi rapporti di Prometeia e Ref, presentati il 2 novembre a un seminario dell’Arel (non una sede che ha preconcetti anti-governativi) presentano un quadro allarmante dell’economia italiana. In estrema sintesi, se negli ultimi anni siamo stati penultimi dell’eurozona in termini di crescita economica, nel 2017 rischiamo di essere gli ultimi. Ciò principalmente perché lo stimolo economico dato dal deficit ottenuto in deroga ai trattati europei non è sufficiente a rivitalizzare un’economia schiacciata da un debito che, in percentuale del Pil, rischia di essere maggiore nel 2017 di quanto non lo è nel 2016.



La mattina, sempre del 2 novembre, Jean-Paul Renne, dell’Università di Losanna, ha presentato in un seminario ristretto alla Banca d’Italia un nuovo modello econometrico elaborato con Olesya Grishchenko del Federal Reserve Board e Sarah Mouabbi della Banque de France per stimare inflazione e tassi d’interesse negli Stati Uniti e nell’eurozona a cinque anni (non a due anni come fanno gran parte del modelli attualmente in uso). Non c’è da stare allegri: negli Usa, dopo un aumento di inflazione e tassi nei prossimi mesi, si tornerebbe a calma piatta; in Europa si resterebbe a calma piatta e neanche una maggiore dose di Quantitative easing riuscirebbe a migliorare la situazione.

In un’Europa a calma piatta, però, c’è chi è più piatto degli altri. E le classifiche di Ref e Prometeia mostrano che non siamo affatto in buona posizione. Se lo spread sale occorre al più presto avere al Governo una squadra che “faccia” politica economica e affronti il problema del debito.