Pochi ogni giorni ancora e sarà un anno dalle quattro risoluzioni bancarie che hanno dato il via alla paralisi progressiva del sistema bancario italiano. Il default pilotato di Banca Etruria, Banca delle Marche, CariFerrara e CariChieti avrebbe dovuto spegnere sul nascere un focolaio di crisi: invece la cattiva gestione di quei dissesti ha propagato l’incendio a Popolare di Vicenza e Veneto Banca infine a Mps, senza trascurare UniCredit. Entro la fine del 2016 tutte questi casi dovrebbero essere in qualche modo assestati, ma non lo è ancora neppure il primo.



Le quattro banche risolte nel novembre 2015 hanno giù fallito due volte le scadenze poste dalle normative Ue per la rivendita. Ora Ubi parrebbe disposta ad accollarsi tre good bank salvate, ma di fatto a costo zero: trasformando cioè in perdita immediata i 2 miliardi circa immessi dal sistema bancario per il salvataggio. Ciò significa appesantire soprattutto i bilanci 2016 delle grandi banche (UniCredit e Intesa Sanpaolo) e per questo la bozza di legge di stabilità aveva previsto di consentire l’ammortamento in 5 anni di queste poste passive. Ma la discussione parlamentare ha cancellato l’ipotesi; anche se ora il Tesoro starebbe studiando un decreto.



Nel frattempo, tuttavia, anche gli “investitori-salvatori” di Atlante rischiano di vedere andare in fumo i 2,5 miliardi utilizzati per ricapitalizzare le due Popolari del Nordest: che dopo l’approvazione di due semestrali in rosso profondo (e non ancora definitivo) sono di nuovo fuori dai parametri patrimoniali previsti dalla vigilanza Bce. E’ stato il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, a lanciare l’allarme,ricordando che oltre 500 milioni sono stati convogliati nel fondo salva-credito dalle Fondazioni: le quali si attendevano – come altri investitori – un impegno principale nella gstione delle sofferenze bancarie, non nel congtrollo di due banche in forte difficoltà. Ora Popolare Vicenza e Veneto Banca potrebbero fondersi su pressione della Bce: ma ancora una volta i sospetti di un’azione punitiva e discriminatoria di Franoforte verso le banche italiane è forte.



E’ vero che l’anno di paralisi – pericolosamente non finito – per le banche italiane non ha avuto fraforse successo: a le sue cause soltanto l’strema debolezza del governo nelle sedi istituzionali europee. L’esclusione dal processo decisionale di una già debole Bankitalia – unita alla difficile posizione del presidente italiano della Bce Mario Draghi – ha avuto il suo peso. Così come è stata deleteria l’impreparazione del governo a gestire il fronte del “risparmio tradito”: contenuto l’anno scorso, oggi incontrollabile, laddove soprattutto i soci-debitori delle Popolari venete stanno tuttora creando situazioni potenzialmente esplosive.

Se il caso Banca Etruria ha scoperto il nervo del conflitto d’interesse fra il “cerchio magico” del premier Renzi e il mondo bancario, la lentezza della Procura di Vicenza nell’investigare sul dissesto ha moltiplicato gli interrogativi sui rapporti consolidatisi negli anni fra sistema giudiziario e mondo creditizio. Non ultimo, nel clima di paralisi, spicca il credito cooperativo: a nove mesi dal varo della riforma, il riordino organizzativo del settore non è avviato e le Bcc sembrano procedere in ordine sparso verso la possibile creazione di due o tre gruppi nazionali. La protezione di Palazzo Chigi per lo scissionismo promosso dalle Bcc toscane avrà forse successo: ma non è certo che aiuterà le banche italiane a uscire dalla paralisi.